Le lettere dalla prigionia di Umberto Spizzichino – arrestato dalle SS nel gennaio del 1944, a 25 anni, deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, “marchiato” con il numero 180110 e assassinato nello stesso anno – sono state donate alla Fondazione Fossoli. L’erede Gemma Moroni ha deciso, insieme ai figli, di donare alla Fondazione il carteggio di Umberto, transitato per il campo di Fossoli, perché siano conservate e messe a disposizione degli studiosi. A darne notizia oggi, alla vigilia del Giorno della memoria, è la stessa Fondazione Fossoli. Dopo la detenzione in via Tasso e nel carcere di Regina Coeli, la prima tappa nel viaggio della deportazione fu il campo di concentramento di Fossoli, a Carpi, in provincia di Modena, in cui furono raccolti, per poi essere inviati ai lager nazisti, molti degli ebrei catturati in Italia. Da qui, il giovane Umberto scrisse diverse lettere a parenti e amici per chiedere, “con molta vergogna”, denaro, vestiti e cibo; nelle missive il tentativo di rassicurare tutti sulla propria salute, concludendo sempre con un abbraccio al nipote Settimio, chiamato affettuosamente “il baroncino”.
Ora il carteggio è stato donato alla Fondazione Fossoli dall’erede, Gemma Moroni, moglie di Settimio, proprio il “baroncino” citato nelle lettere, figlio di Leonardo, uno dei fratelli di Umberto. Insieme a lei, d’accordo nell’effettuare la donazione, i figli Silvia, Lorenzo, Daniele e Marta Spizzichino. Grande la soddisfazione della Fondazione che, in concomitanza con i cantieri di riqualificazione e conservazione del campo di Fossoli, ha lanciato la campagna internazionale “Salva una storia,” con lo scopo di raccogliere materiale documentale come lettere, diari, documenti e missive risalenti al periodo della Seconda guerra mondiale; una campagna che, a partire dalla donazione del carteggio di Bruno De Benedetti, altro internato al campo, è proseguita con tanti contributi che hanno arricchito e accresciuto il patrimonio documentario e testimoniale del “Centro studi e documentazione Primo Levi” della Fondazione. “Sono felice – commenta Gemma Moroni – che finalmente queste lettere, per tanti anni nascoste in un cassetto, possano essere presto mostrate di nuovo a chiunque sia interessato, per ricordare le persone morte in questa maniera atroce, ed essere da monito perché ciò che è successo a Umberto, lo zio di mio marito, non si ripeta mai più. Era un ragazzo allegro, con grande fascino, che però rimase solo dopo che la famiglia fu costretta a dividersi per nascondersi e sfuggire alla persecuzione. Quello che credeva essere un amico lo tradì, e per tantissimi anni non si è mai saputo nulla di questa terribile storia, e da quando ne sono venuta a conoscenza mi sono sentita in dovere di trasmetterla”. “Ringraziamo Gemma Moroni – spiega la direttrice della Fondazione Fossoli, Marzia Luppi – che ha raccolto il nostro invito, che con la campagna ‘Salva una storia’ intende gettare un salvagente perché tante memorie non si perdano nell’oblio. Quello di Umberto è un tassello prezioso, la testimonianza di un altro pezzo di storia e della vita nel campo di Fossoli. Siamo profondamente grati a tutti gli eredi che donano alla Fondazione i documenti, riconoscendone, oltre all’indubbio, enorme valore personale e famigliare, l’importanza civile. Le lettere, i diari, le fotografie, i disegni di chi ha attraversato l’inferno dei campi di concentramento possono essere poste al servizio della società, perché ciò che è stato non sia dimenticato”.