Nel 2021 la Corte dei diritti umani si è pronunciata su oltre 36mila ricorsi, con un decremento dell’8% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, il numero delle sentenze è salito a 428 (relativi a 1.037 ricorsi), con un aumento del 9% rispetto al 2020. A fine 2020 le domande pendenti erano 62mila. Questa cifra è salita a 70.150 alla fine del 2021, il che rappresenta un aumento del 13%. Questi sono alcuni dei dati che oggi il presidente della Corte europea di Strasburgo, Peter Spano, ha riferito e spiegato nella consueta conferenza stampa di inizio anno. Il 70% di tutte le richieste pendenti riguarda gli stessi 4 Paesi dell’anno scorso: la Federazione russa, con 17mila ricorsi, il 24% in più rispetto all’anno precedente (e il 25% dei casi totali riguardano violazioni alla libertà di manifestazione e riunione); la Turchia, con 15.250 casi, il 30% in più rispetto al 2020 (in tanta parte relativi a sentenze emesse nei processi relativi al tentato colpo di Stato del 2016); l’Ucraina con 11.350 ricorsi e la Romania con 5.700 casi. Il presidente ha spiegato come la Corte ha messo in atto una nuova “strategia per affrontare i casi”, volta ad accelerare i tempi: i casi vengono catalogati secondo priorità, in base alla gravità, importanza e urgenza della materia in questione, ma anche rispetto al loro “impatto” (perché la materia è completamente nuova, perché le ricadute legislative sono importanti, perché moralmente rilevanti): al 1° gennaio 2022 negli uffici di Strasburgo c’erano 500 casi appartenenti a questa categoria, su temi come la libertà di espressione, il diritto a un processo equo, lo spionaggio sui giornalisti, temi legati alla pandemia, discriminazioni, casi ambientali.