Gesù “non è venuto a consegnare un elenco di norme o ad officiare qualche cerimonia religiosa, ma è sceso sulle strade del mondo a incontrare l’umanità ferita, ad accarezzare i volti scavati dalla sofferenza, a risanare i cuori affranti, a liberarci dalle catene che ci imprigionano l’anima”. A ribadirlo è stato il Papa, nell’omelia della messa per la Domenica della Parola di Dio, celebrata ieri nella basilica di San Pietro. La Parola di Dio, ha proseguito Francesco, “non ci lascia tranquilli, se a pagare il prezzo di questa tranquillità è un mondo lacerato dall’ingiustizia e a farne le spese sono sempre i più deboli. La Parola mette in crisi quelle nostre giustificazioni che fanno dipendere ciò che non va sempre da altro e dagli altri. Ci invita a uscire allo scoperto, a non nasconderci dietro la complessità dei problemi, dietro il ‘non c’è niente da fare’ o il ‘che cosa posso farci io?’. Ci esorta ad agire, a unire il culto di Dio e la cura dell’uomo”. La Parola, inoltre, “non ci astrae dalla vita, ma ci immette nella vita, nelle situazioni di tutti i giorni, nell’ascolto delle sofferenze dei fratelli, del grido dei poveri, delle violenze e delle ingiustizie che feriscono la società e il pianeta, per non essere cristiani indifferenti, ma operosi, creativi, profetici. La Parola vuole prendere carne oggi, nel tempo che viviamo, non in un futuro ideale”. Di qui “la missione di ciascuno di noi: essere annunciatori credibili, profeti della Parola nel mondo. Perciò, appassioniamoci alla Sacra Scrittura, lasciamoci scavare dentro dalla Parola, che svela la novità di Dio e porta ad amare gli altri senza stancarsi”. “Rimettiamo la Parola di Dio al centro della pastorale e della vita della Chiesa!”, l’invito finale: “Così saremo liberati da ogni pelagianesimo rigido, da ogni rigidità, e saremo liberati dall’illusione di spiritualità che ti mettono in orbita senza avere cura dei fratelli e delle sorelle”.