Viola il diritto di difesa sancito dalla Costituzione la norma, contenuta nell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, che – secondo l’interpretazione della Corte di cassazione – impone il visto di censura sulla corrispondenza tra il detenuto sottoposto al “carcere duro” e il proprio difensore. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 depositata oggi (redattore Francesco Viganò), accogliendo la questione di legittimità sollevata dalla stessa Cassazione.
“La sentenza – si legge in una nota – osserva che il diritto di difesa comprende – secondo quanto emerge dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo – il diritto di comunicare in modo riservato con il proprio difensore e sottolinea che di questo diritto è titolare anche chi stia scontando una pena detentiva. E ciò anche per consentire al detenuto un’efficace tutela contro eventuali abusi delle autorità penitenziarie”. Secondo la Consulta “è vero che questo diritto non è assoluto e può essere circoscritto entro i limiti della ragionevolezza e della necessità – purché non sia compromessa l’effettività della difesa – qualora si debbano tutelare altri interessi costituzionalmente rilevanti. Ed è anche vero che i detenuti in regime di 41 bis sono ordinariamente sottoposti a incisive restrizioni dei propri diritti fondamentali, allo scopo di impedire ogni contatto con le organizzazioni criminali di appartenenza”. “Tuttavia – prosegue la nota –, la Corte ha ritenuto che il visto di censura sulla corrispondenza del detenuto con il proprio difensore non sia idoneo a raggiungere questo obiettivo e si risolva, pertanto, in una irragionevole compressione del suo diritto di difesa”.