Anche in pandemia il comparto italiano della comunicazione si conferma una industry che occupa i giovani (+31% sulla media nazionale che si attesta al 21%) e punta oggi sulla flessibilità, con lo smartworking che rappresenta una commodity e che è entrato a far parte di un “nuovo” modo di lavorare per tante aziende. Si conferma anche in questo settore la flessione dell’occupazione femminile (50,3% di occupati donne contro il 65% del 2020) e la difficoltà dell’accesso del mondo femminile alle posizioni apicali.
Sono alcuni risultati del rapporto che monitora il mercato del lavoro nel settore della comunicazione italiana elaborato da Una (Aziende della comunicazione unite) e Almed, (Alta scuola in comunicazione, media e spettacolo) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un progetto realizzato grazie alla collaborazione tra il Centro studi dell’associazione e il master in “Digital Communications Specialist” di Almed. Giunta ormai alla terza edizione, l’analisi tiene conto delle rilevazioni effettuate su un campione rappresentativo di 172 imprese di comunicazione attive negli ambiti della consulenza creativo/strategica (le agenzie creative, digital e social), della realizzazione e produzione (case di produzione audio, video, stampa, digital, etc.) e della pianificazione media e delle pubbliche relazioni. Il report contiene la sintesi dei dati ottenuti da due survey condotte rispettivamente a ottobre 2020, sui dati del 2019, e a maggio 2021, sui dati del 2020.
Tra i principali dati, Milano si conferma la capitale della comunicazione con oltre il 50% delle imprese. I giovani tra i 15-34 anni rappresentano il 53,1% del totale degli occupati, il 31,9% in più rispetto alla media nazionale. I dipendenti sono per il 50,3% donne (in forte diminuzione rispetto agli anni precedenti) e per il 49,7% uomini. A fronte di un 41,8% di donne in ingresso, si registra un 58,4% di donne in uscita. Il board delle società è costituito dal 64,2% uomini e 35,8% donne.
La Cig (Figis) ha riguardato il 56,2% delle donne e il 43,8% degli uomini. Fra le società rispondenti l’81,58% circa dichiara di aver attivato lo smartworking nel 2020. Solo il 14,5% non prevede di mantenerlo.