“Sembra paradossale che nel tempo della pandemia, quando l’impegno collettivo è tutto proteso a tutelare la salute dei cittadini, si discuta di rendere lecito l’aiuto a togliersi la vita”. Lo scrive Carlo Casalone, gesuita, sul nuovo numero de “La civiltà cattolica”, in un articolo intitolato “La discussione parlamentare sul suicidio assisitito”. “Il paradosso mette però in evidenza una dinamica che attanaglia la medicina. Se all’impresa biomedica si assegna il compito di dominare i processi biologici e rispondere al desiderio di salute di ciascuno, allora sembra plausibile chiederle – quando fallisce l’obiettivo e la sofferenza viene ritenuta intollerabile – di abbreviare la vita: è l’ultimo passo per esercitare il controllo. Il punto sarebbe invece di interrogarsi sull’impostazione dell’intera impresa: rivedere gli scopi perseguiti dalla medicina e riarticolare, per la tutela della salute e la terapia del dolore, il rapporto fra trattamento delle malattie e prevenzione, tra ospedale e territorio, tra settori sanitario e sociale”. L’articolo è pubblicato sul sito laciviltacattolica.it.
Il sommario dell’articolo riferisce: “La proposta di legge (PdL) sul fine vita, nella scia della sentenza della Corte costituzionale, non esclude la punibilità dell’assistenza al suicidio, tranne che in alcune particolari condizioni: pur distanziandosi dalle posizioni del Magistero sul tema, si pone la domanda se sia accettabile appoggiarla. Visti la richiesta, fatta dalla Corte al Parlamento, di disciplinare la materia, l’incalzare del referendum sull’omicidio del consenziente e il diffondersi dell’approvazione dell’eutanasia in vari Paesi, l’articolo propone di non scartare il sostegno alla PdL, con alcune auspicabili modifiche, come via per promuovere responsabilmente la tutela della vita e il bene comune possibile”. L’autore è membro della Pontificia Accademia per la vita e insegna teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana.