La perseguibilità penale dell’aborto è incostituzionale in tutto il Paese. È quanto ha stabilito ieri la Corte Suprema di giustizia del Messico, con sentenza votata all’unanimità. La Corte si è espressa in merito alla costituzionalità di alcuni articoli del codice penale dello Stato del Coahuila (Messico settentrionale), che puniscono le donne che abortiscono con pene fino a tre anni di reclusione.
“D’ora in poi non sarà possibile, senza violare i criteri del tribunale e della Costituzione, perseguire una donna che abortisce nei casi convalidati da questo tribunale”, ha sottolineato Arturo Zaldívar, presidente della Corte Suprema. La sentenza, in pratica, permette di “superare” per via giudiziaria le legislazioni dei vari Stati messicani. Attualmente, nel Paese, l’aborto è depenalizzato fino a 12 settimane di gestazione a Città del Messico, dove viene praticato gratuitamente nelle strutture sanitarie; recentemente è stato depenalizzato fino alla dodicesima settimana anche negli stati di Oaxaca, Hidalgo e Veracruz.
È atteso un pronunciamento ufficiale della Conferenza episcopale messicana (Cem), che nei giorni scorsi, in coerenza con i recenti e frequenti pronunciamenti, aveva auspicato una sentenza diversa, ricordando che “l’essere umano dev’essere riconosciuto nella sua dignità in tutte le tappe della vita” e augurandosi che la Corte garantisse “una protezione equivalente alla madre e al nascituro, senza discriminazioni basate sul loro grado di sviluppo”. Sul tema della difesa della vita era intervenuto ieri, poco prima della sentenza, durante l’omelia della messa celebrata in occasione della Settimana di formazione permanente, il segretario generale della Cem, mons. Alfredo Miranda. “Benedetti coloro che operano per difendere la vita in tutte le sue espressioni”, aveva detto tra l’altro.