Cinquant’anni fa il card. Marcello Semeraro veniva ordinato sacerdote nella chiesa madre di Monteroni dal vescovo Francesco Minerva. In occasione del suo Giubileo sacerdotale, il prefetto della Congregazione delle cause dei santi si racconta in esclusiva a “Portalecce”. “Fatta, nel periodo liceale e con l’aiuto dei miei educatori, la scelta definitiva di rispondere alla chiamata al sacerdozio, il ministero che immaginavo era quello di essere in una comunità parrocchiale, come abituale. In fondo la mia vocazione era nata in parrocchia, nel contatto con alcuni sacerdoti e nella parrocchia immaginavo di dovere svolgere il mio ministero. Nell’ultimo anno della mia formazione iniziale, però, si fece strada l’idea che io potessi lavorare come educatore nel seminario. Prima, per un paio d’anni a Molfetta, nel seminario regionale, e poi a Lecce. Il vescovo Francesco Minerva – che ricordo con grande affetto e riconoscenza – mi ventilò tale suo programma. Alcune ragioni non ne permisero l’attuazione, sicché rimasi a Lecce e, comunque, destinato in seminario”, ricorda il porporato, che ha anche insegnato Teologia dogmatica nel regionale di Molfetta. “Quelli trascorsi a Molfetta sono stati anni molto importanti per me”, confida il cardinale: “Nel mio ufficio di insegnamento mi sentivo realizzato; con molti degli studenti, poi, ho avuto un buon rapporto che prosegue ancora oggi: alcuni di loro ora svolgono il medesimo ministero; tanti altri sono sparsi nelle parrocchie di Puglia e accade spesso di risentirsi e rivedersi, quando giungono a Roma”. Rispondendo a una domanda sul sacerdote di oggi, il card. Semeraro spiega: “Il Concilio Vaticano II ha presentato la figura del sacerdozio ministeriale come essenzialmente distinto, ma pure strutturalmente coordinato al sacerdozio comune dei fedeli”; come suo compito, quindi, “ha richiamato l’esercizio armonico e complementare del triplex munus: profetico, sacerdotale e regale. Non tre uffici distinti e separabili, ma un unico triplice ministero. Allentare il legame tra le due forme di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo e slegare i tre compiti dell’unico ministero sarebbe uno sconvolgimento del magistero attuale della Chiesa e immaginarsi un ‘sacerdozio’ di testa propria, che con quello di Cristo ha poco da spartire. Enfatizzare interiormente un compito ministeriale a discapito dell’altro (universale, ndr), a prescindere dal mandato del vescovo, è snaturare lo stesso ministero”. Il prefetto mette anche in guardia da un “rischio”: il clericalismo. “Le sfaccettature del clericalismo vanno da un estremo all’altro: dalla cura eccessiva della talare con fascia e altri annessi ‘stilistici’, alla banalità liturgica e populistica… È l’ipocrisia di chi (per dirla con Isidoro di Siviglia) ‘usa le parole dei santi, ma non ne ha la vita e che, invece di offrirsi a Dio, si espone alla vista degli uomini'”.