“Sarebbe veramente una sconfitta” ridurre il cammino sinodale ad “un fatto puramente burocratico”. “Il timore, che deriva dal fatto che non siamo abituati a fermarci e ad ascoltarci reciprocamente, è che la fretta ci prenda e che tutto si riduca ad un incontro tra pochi, con documenti già scritti”. Lo ha affermato don Antonio Mastantuono, pastoralista e vicepresidente del Centro di orientamento pastorale, incontrando i giornalisti al termine della 70ª Settimana di aggiornamento pastorale promossa dal Cop (Cop) sul tema “In cammino verso il Sinodo della Chiesa italiana” che si è chiusa oggi ad Assisi.
“Se anche si riuscisse soltanto a rimettere in moto le comunità parrocchiali, a tutti i livelli, piccoli e grandi, perché possano insieme scoprire che dire Popolo di Dio non è dire altra cosa rispetto alla propria esperienza di fede, se si riuscisse a far riscoprire la dimensione costitutiva dell’essere cristiano sarebbe una grande conquista” del Sinodo, ha proseguito don Mastantuono: “Sarebbe mettere in cammino una carovana”. Mettersi in cammino sinodale – l’augurio del pastoralista – “sia vissuto come uno scossone che viene dato ad un gigante addormentato o semiaddormentato perché possa svegliarsi e ricominciare”.
Per don Mastantuono fondamentale è “l’ascolto reciproco che poi diventa dialogo, che porta poi alla lettura e al discernimento della realtà e che dovrebbe portare alle decisioni”. “Il tempo che stiamo vivendo, quello della pandemia, ha fatto venir meno alcuni nostri modi di vedere e di pensare dentro le nostre comunità e ne ha fatte emerge altri”, ha proseguito, ma “c’è ancora il bisogno di sentirsi parte di una realtà”. “Ciò che è necessaria è la volontà delle comunità di fare questa esperienza di cammino. Decidano cioè di ritrovarsi, guardandosi negli occhi, ascoltandosi reciprocamente”. “Il primo passo – la convinzione del pastoralista – è imparare ad ascoltarsi reciprocamente”, in uno spazio nel quale “siamo tutti uguali – parroco, vescovo, catechista, ma anche chi in chiesa mette i piedi ogni tanto”. “Significa – ha spiegato – capacità di accogliersi e lasciarsi interrogare dall’altro”.