Aiuti internazionali: Kelly e Solymári, “non seguono logica del potere se ispirati a imperativo umanitario e modalità ritenute opportune dai beneficiari”

Che rapporto c’è tra il potere e le relazioni di aiuto internazionale? A chiederselo nell’articolo che apre il quaderno 4109 de La Civiltà Cattolica, in uscita sabato 4 settembre e come di consueto anticipato al Sir, sono Michael Kelly, editor de La Civiltà Cattolica in lingua inglese, e Daniel Solymári, ricercatore e membro della Royal Geographical Society. “In altre parole – l’interrogativo posto dai due autori -, è mai possibile ‘dare’ senza ‘chiedere’ qualcosa in cambio?”.
Dopo avere delineato la storia della formazione del regime di aiuto e i suoi sviluppi, i due giornalisti affermano che “l’aiuto internazionale è un processo multiforme, nel quale le posizioni estreme non sono affatto rare: per esempio, l’ungherese Peter Bauer (che prese parte anche al governo di Margaret Thatcher) e più tardi Friedrich von Hayek hanno negato i fondamenti morali della motivazione dell’aiuto. Secondo loro, né gli individui né gli Stati hanno alcun obbligo morale di sostenere gli altri; l’idea della distribuzione dei beni, come principio, può emergere solo nel caso in cui la disuguaglianza sia ingiusta. Bauer non si è limitato ad affermare che un aiuto protratto può far cadere i Paesi che ne beneficiano in un circolo vizioso, ovvero in una trappola (dipendenza dagli aiuti), ma ha anche respinto categoricamente le politiche di sostegno dei Paesi sviluppati”.
Tutto ciò “mette in luce la complessità del sistema delle relazioni internazionali” e, all’interno di esso, “la complessità dell’aiuto, rispetto al quale molto spesso le domande stesse sono divisive e le risposte sono decisamente conflittuali”, si legge ancora nell’articolo. “I princìpi e le modalità di approccio differiscono; tuttavia, sulla base dell’’imperativo umanitario’ – radicato nel cristianesimo e poi riscoperto nel XX secolo –, nessuno che sia interessato a fornire aiuti internazionali ha altra scelta se non quella di evitare ulteriori sofferenze a chi è vulnerabile e di contribuire, per quanto i suoi mezzi lo consentano, ad aiutare adeguatamente i bisognosi – concludono Kelly e Solymári – nel modo ritenuto opportuno dai beneficiari dell’aiuto”.

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