Diocesi: mons. Fontana (Arezzo), “Dio ci ama, vuole sempre il nostro bene, non ci abbandona mai”

“Dio ci ama, vuole sempre il nostro bene, non ci abbandona mai. Siamo il capolavoro della creazione ed egli vuole tenere vivo il rapporto di alleanza con noi che ha sognato fin dall’alba del mondo”. Il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Riccardo Fontana inizia così la sua nuova e undicesima lettera pastorale alla diocesi, “Il fascino della vita cristiana”, presentata durante la celebrazione eucaristica, a conclusione del convegno pastorale diocesano (13-15 settembre).
È il tema della sinodalità l’elemento ispiratore e conduttore di questa ultima lettera pastorale, come sottolinea mons. Fontana, nella sua introduzione: “L’esperienza gioiosa del Sinodo diocesano, nel dibattito e nel confronto delle varie idee, tutte rispettabili, ma talvolta non conciliabili tra loro, mi ha convinto a proseguire il dialogo sul territorio, con la mia gente. Ecco la ragione della seconda visita pastorale post-sinodale, già iniziata in alcuni vicariati e in programma nei successivi”.
Occorre “tener vivo il dialogo con Dio attraverso l’ascolto della sua Parola”, cercando di avvicinarsi alla Sacra Scrittura con fede, affidandosi completamente a Dio e al Suo ascolto. Ancora un invito: “Occorre porre una specifica attenzione a non banalizzare la vita cristiana con il devozionismo che vanifica l’opera di Dio, mettendo al primo posto i nostri bisogni emotivi. In tutti i sacramenti il ruolo della Parola di Dio è fondamentale. I gesti illustrano, spiegano, confermano quanto è stato annunciato dalla Parola”.
Cosa è chiesto a noi cristiani? “Di fare come il Signore. La via della sequela ci chiede di essere ad un tempo come il buon Samaritano, che si fa carico dell’uomo incappato nei briganti, ma anche come gli apostoli alla moltiplicazione dei pani, ai quali è chiesto di dare loro stessi da mangiare alle folle affamate e di fare come gli operai mandati nella vigna a lavorare”.
“La Provvidenza di Dio non ci abbandona, ci circonda del suo amore, suscitando in ogni generazione sempre nuove forme di carità. Egli dà un senso alla nostra vicenda di persone, la illumina e ci chiede, con amore, di riverberare luce in ogni circostanza della vita”, aggiunge.
Ci è chiesto “di coniugare l’impegno personale con l’edificazione della comunità”. “Si tende a rifiutare la logica della partecipazione alla vita del popolo di Dio. Si stenta ad assumere i comportamenti che derivano da questa condizione che è, ad un tempo, un’esperienza di comunione: la Chiesa è il Corpo di Cristo, nel quale le membra hanno diverse funzioni per l’utilità comune”.
La lettera pastorale, articolata in 14 paragrafi, si conclude con un auspicio: “Confido che i più giovani nostri figli siano ancora affascinati dall’ideale evangelico di spendere la propria vita per gli altri, perché solo così non sarà vuota ed insulsa. Ciascuno segua la strada alla quale Iddio lo chiama; ma nessun cristiano, in nessuna condizione di vita, potrà riconoscersi discepolo del Signore se non avrà messo al primo posto l’amore”.

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