“Chi segue Dio è chiamato a lasciare”. Ne è convinto il Papa, che nel suo secondo discorso a Budapest, rivolto ai rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e di alcune comunità ebraiche, si è soffermato sul compito comune dei credenti: ”A noi è chiesto di lasciare le incomprensioni del passato, le pretese di avere ragione e di dare torto agli altri, per metterci in cammino verso la sua promessa di pace, perché Dio ha sempre progetti di pace, mai di sventura”. Francesco ha poi invocato l’immagine del Ponte delle Catene, “che collega le due parti di questa città: non le fonde insieme, ma le tiene unite. Così devono essere i legami tra di noi. Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo. Quante volte nella storia è accaduto!”. “Dobbiamo vigilare, dobbiamo pregare perché non accada più”, l’appello del Papa: “Dobbiamo impegnarci a promuovere insieme una educazione alla fraternità, così che i rigurgiti di odio che vogliono distruggerla non prevalgano”. “Penso alla minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove”, l’esempio scelto da Francesco: “È una miccia che va spenta. Ma il miglior modo per disinnescarla è lavorare in positivo insieme, è promuovere la fraternità. Il Ponte ci istruisce ancora: esso è sorretto da grandi catene, formate da tanti anelli. Siamo noi questi anelli e ogni anello è fondamentale: perciò non possiamo più vivere nel sospetto e nell’ignoranza, distanti e discordi”.