“Le aree interne non hanno un destino già scritto: quello dell’abbandono e del depauperamento. Il loro destino è nelle mani delle intelligenze territoriali che in esse vivono e delle competenze di coloro che per esse vogliono impegnarsi”. Lo ha detto, oggi, Francesco Vespasiano (Università del Sannio), offrendo uno sguardo sociologico, nella sessione pomeridiana dell’Incontro dei vescovi delle aree interne, promosso, oggi e domani, al “Centro La Pace” di Benevento, dall’arcivescovo Felice Accrocca.
“La Strategia nazionale per le aree interne (Snai) prova ad andare nella direzione del recupero e della loro valorizzazione. Potremmo leggere questa particolare attenzione come l’emergere di una consapevolezza nuova, secondo la quale le aree interne vengono individuate come risorse preziose, che meritano una particolare cura per il loro valore in sé e per il diritto che hanno le popolazioni che in esse vivono di essere rispettate almeno come quelle che vivono in altre aree del territorio italiano”, ha osservato il docente.
Il sociologo ha quindi spiegato cosa s’intende per aree interne: “Un’area interna è un’area distante o molto distante dall’insieme dei servizi essenziali alla vita dei bambini, dei giovani, degli adulti e degli anziani che vivono in quell’area. Se provassimo a visualizzare la loro collocazione su una cartina geografica, vedremmo che esse si distribuiscono lungo tutte le direttrici: dal Nord al Sud e dall’Est all’Ovest. La maggior parte radicate lungo la dorsale appenninica, ma esse si trovano anche lungo la direttrice alpina e nei pressi delle zone costiere”. In Italia “le aree interne sono presenti in tutte le Regioni e incidono da un minimo del 32,9% in Veneto a un massimo del 96,2% in Basilicata”.
Per Vespasiano, “le aree interne usciranno dallo stato di marginalità se, e soltanto se, sapranno costruire reti di amicizia e stili di vita cosmopoliti. Cosmopolitismo significa, in questo ambito, libertà di movimento, possesso di conoscenze e competenze di pregio, capacità di costruire relazioni con tutti gli attori nazionali e internazionali necessari al migliorare se stessi e la qualità di vita della collettività di appartenenza. Cosmopolitismo non è un comportamento di rinuncia alle specificità territoriali, ma è un atteggiamento di apertura relazionale anche per valorizzare quelle specificità locali, inserendole in flussi nazionali e internazionali”. Il soggetto cosmopolita cerca “autenticità relazionale e qualità di vita, non soltanto per se stesso ma per tutti i componenti della sua rete di relazioni”. Nell’accezione sociologica, “il cosmopolitismo è caratterizzato da un’etica solidaristica e un generale atteggiamento tollerante verso le differenze identitarie, culturali e antropologiche”. Il sociologo ha concluso: “I giovani, che più di altri fuggono dalle aree interne, troverebbero nel cosmopolitismo locale un luogo dove radicare le nuove costellazioni valoriali che, da decenni, cercano altrove”.