“In riferimento al tema dell’eutanasia, mi permetto di evidenziare quattro paradossi in cui si incorre quando si passa dalla libertas all’arbitrium”. In occasione dell’annuncio, una decina di giorni fa, da parte del Comitato promotore del referendum “Eutanasia legale” e dell’Associazione Luca Coscioni di aver raggiunto le firme necessarie, il vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, Vito Angiuli, evidenzia in un messaggio alla diocesi i quattro paradossi del principio di autodeterminazione invocato dai promotori del referendum.
Nel documento, recante la data del 15 agosto, Solennità di Maria Assunta in cielo, ma ricevuto oggi in redazione mentre i promotori del referendum annunciano di avere raggiunto 750 mila firme, il presule richiama lo slogan dell’iniziativa referendaria, “Liberi fino alla fine”, spiegando: “L’idea fondamentale è la seguente: niente e nessuno deve poter limitare la libertà personale, soprattutto quando si tratta di questioni che toccano la propria persona e il proprio destino”. Un principio, insomma di “autodeterminazione estrema”. Di qui il primo paradosso: “Non esiste una libertà in astratto, ma solo in quanto legata alla nascita. Ora, se non si è liberi di nascere come si può essere liberi di morire? In realtà, si è solo liberi di vivere”.
Il secondo paradosso, prosegue mons. Angiuli, “consiste nel fatto che l’eutanasia e il suicidio assistito sono presentati surrettiziamente come espressione di libertà. In realtà, sono solo una ‘fuga dalla vita e dalla libertà'”.
Il terzo paradosso si riferisce al fatto che se il “suicidio assistito” deve essere consentito “quando la malattia irreversibile riguarda il corpo, non si vede il motivo per il quale non dovrebbe essere praticato anche quando tocca la psiche. A rigor di logica – riflette il presule -, anche a chi ha perso il gusto della vita” dovrebbe “essere consentito quanto è permesso a chi è affetto da una malattia incurabile. Non si soffre di meno nell’anima, rispetto a quanto si soffre nel corpo”.
Infine la “palese contraddizione tra la libertà posta in modo assoluto in ambito individuale e la libertà che si esercita in modo condizionato in ambito sociale”. Tutti vorrebbero “vivere liberi da ogni imposizione esterna alla propria libertà di autodeterminazione”, ma il buon senso “intuisce che se la libertà si dovesse esprimere in modo assoluto anche in ambito sociale si aprirebbe la porta all’anarchia e alla dissoluzione di qualsiasi forma di società e si andrebbe incontro – conclude il presule – a un ‘suicidio sociale’ non meno deleterio del ‘suicidio assistito’”.