“Passato Ferragosto, l’estate scivola verso la sua parte finale ed è già tempo di fare qualche bilancio”: perciò, l’Associazione Ospitalità religiosa ha contattato gli oltre tremila gestori delle case religiose e no-profit che in Italia si dedicano all’ospitalità, compresa quella estiva per i vacanzieri, per un primo bilancio.
“Un primo raffronto è stato fatto con l’estate 2020, per capire se il 2021 vale o no la ripresa. Le presenze nell’ospitalità religiosa segnano in media un +29%. Tra i gestori, l’86% ha registrato un incremento, mentre il 14% lamenta ancora un ulteriore calo anche quest’anno”, sottolinea Fabio Rocchi, presidente dell’Associazione Ospitalità religiosa italiana. L’Associazione ha voluto però fare i conti anche col 2019, ultimo anno “normale”. “Rispetto a quella annata, due gestori su 3 dichiarano perdite di presenze, mentre il restante terzo vive con soddisfazione un rincuorante aumento. Il bilancio complessivo medio del 2021 rispetto al 2019 si chiuderà comunque con un saldo negativo del 23%”, ricorda Rocchi, che evidenzia: “Siamo quindi ben lungi dal lasciarci la crisi alle spalle, soprattutto sul fronte delle attività benefiche che vivono proprio con questi introiti”. Ma come guardano a questi dati le tante comunità religiose e laiche no-profit dedicate all’ospitalità? Pur considerando la “tara” dell’emergenza sanitaria, “la maggior parte ritiene l’andamento della stagione estiva 2021 accettabile (49%), se non addirittura ottimo (20%) o eccellente (4%). Non manca però chi esprime invece una valutazione insufficiente (22%) o addirittura deludente (5%)”, spiega il presidente dell’Associazione Ospitalità religiosa italiana.
E le prospettive? “Il 47% dei gestori manifesta fiducia nel futuro e continuerà nella missione dell’ospitalità. Dello stesso parere anche un altro 45%, che però ritiene di dover rivedere alcuni aspetti organizzativi per far funzionare al meglio l’accoglienza. L’8%, invece, ha deciso di spostare ogni valutazione a fine stagione per decidere se proseguire nell’ospitalità. Va ricordato che nel primo anno della crisi sanitaria già centinaia di strutture avevano chiuso definitivamente i battenti”, conclude Rocchi.