“Nelle nostre città spesso l’assemblea liturgica domenicale, grazie alla presenza delle persone immigrate, ci dà la chance di mostrare che la Chiesa è davvero cattolica”. Lo ha detto mons. Giampiero Palmieri, arcivescovo vicegerente di Roma, nel suo intervento oggi inserito all’interno della Settimana liturgica nazionale, in corso a Cremona fino a domani. La Chiesa “è la ‘sposa adorna di gioielli’ – aggiunge – e i gioielli sono tutte le diversità culturali che ci dicono che il cristianesimo si è incarnato in tante culture arricchendo le culture dei popoli. Però il problema c’è ed è complicato da tutti i punti di vista. Si tratta di una realtà umana e sociale ormai segnata ovunque dalla globalizzazione e dalla interculturalità. In molti Paesi l’esito è quello descritto dagli analisti della città liquida e gassosa. Sembra non esserci spazio per un’appartenenza stabile, come quella richiesta dalle assemblee liturgiche domenicali”. “Mai come oggi – sottolinea – il cristiano vive altrove, vive in un altro modo rispetto alla assemblea liturgica della propria parrocchia. Rispetto a prima, adesso può partecipare alla vita sociale della propria città senza passare per la parrocchia. In ogni territorio c’è la possibilità concreta di superare l’individualismo raccogliendosi intorno alla mensa del Signore e di lasciarsi incontrare dal Risorto attraverso non idee ma la carne di una comunità”. L’arcivescovo evidenzia anche il problema del calo delle presenze: “I giovani sono sempre più assenti dalle nostre celebrazioni. Si fa fatica ad accogliere i riti della tradizione che ci consegnano un’identità e un’appartenenza quando viviamo in una società liquida che non ha più riti in cui esprimere le grandi questioni della vita. Non ci meravigliamo che l’assemblea domenicale sia diversificata, da dare l’impressione di essere un insieme di mondi paralleli”. Un problema grosso che c’è a Roma, secondo mons. Palmieri, è rappresentato dal fatto che gli “immigrati che partecipano all’Eucaristia fanno molta fatica a entrare nella comunità parrocchiale territoriale. Si sentono più custoditi rimanendo per anni nella comunità etnica. Questo non è un bel segno”.