“Ciò che deve cambiare è l’atteggiamento del nucleo dei praticanti regolari verso l’esterno per evitare che sia l’atteggiamento del figlio maggiore della parabola che non scende alla festa perché è arrabbiato con il padre e il fratello”. A dirlo è mons. Giampiero Palmieri, arcivescovo vicegerente di Roma, nel suo intervento alla Settimana liturgica nazionale. “In generale – afferma – non è vero che non ci si aspetta più nulla dalla Chiesa cattolica o dalla parrocchia, soltanto che si chiede qualcosa solo quando si ha bisogno. La richiesta va nella direzione della domanda di senso. In quei momenti ci si aspetta una testimonianza dalla Chiesa credibile del Vangelo e si chiede una liturgia semplice in cui ritrovare le cose importanti della vita”. L’arcivescovo riporta i dati di una ricerca dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo che confermano come i giovani cerchino Dio, “ma – commenta – non considerano la comunità cristiana un interlocutore affidabile e questo ci deve profondamente mettere in discussione”. “Quale liturgia domenicale in questa società gassosa?”, chiede Palmieri. “Le osservazioni ci spingono a far partire un laboratorio che si avvale del contributo di tutti – la risposta -. Dobbiamo partire dalla realtà e non dalle nostre idee. Diamo diritto di parola a tutti i segmenti di credenti. La liturgia in un contesto all’insegna del gratuito dovrebbe offrire la possibilità di ritrovare se stessi riposandosi nel linguaggio simbolico della liturgia. Ritrovare il gusto di una parola sostanziosa perché capace di ascoltare i cuori. Dobbiamo resistere alla tentazione di sbattere i pugni sul tavolo per richiamare i credenti al precetto domenicale. La vocazione alla convocazione di Dio è un atto libero dell’uomo”. “La testimonianza di fede dei credenti non può che avvenire in una relazione ospitale. Questo deve essere ben visibile nella liturgia”.