In Afghanistan “a partire dal Duemila si è sviluppata una società civile molto volenterosa. Sono sorte piccole onlus, associazioni dal basso. Attualmente restano loro il nostro vero interlocutore”. A parlare dell’aspetto meno noto dell’Afghanistan di oggi, minacciato dal ritorno dei talebani ma anche dalla devastante povertà, è Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas Italiana e responsabile dell’area Internazionale. “Il nostro auspicio – spiega Beccegato a Popoli e Missione – è sì quello di favorire chi vuole fuggire dal Paese, ma anche quello di mantenere in piedi i progetti di cooperazione già realizzati e che Caritas ha avviato con la società civile locale; proseguire su questa strada e aiutare chi vuole rimanere per continuare a sostenere i più fragili, penso ai disabili, alle tante persone che vivono nei villaggi più sperduti e che non possono in alcun modo lasciare l’Afghanistan”. Il vicedirettore di Caritas Italiana ricorda che il Paese conta oltre 40 milioni di persone e che “le evacuazioni tramite l’aeroporto, in un tempo limitatissimo, non possono essere l’unico collo di bottiglia”. In questi giorni, afferma, “abbiamo visto scene scioccanti di fughe sugli aerei americani, ma per quanto queste fughe siano assolutamente comprensibili, non possiamo far affidamento solo su veloci evacuazioni”.
Bisogna immaginare una strategia più globale, argomenta Beccegato, che comprenda anche l’assistenza in loco e il proseguimento delle attività di cooperazione. Caritas ha fatto costruire ad esempio quattro scuole e realizzato progetti idrici, sempre in accordo con la controparte locale che esiste e che è sempre stata molto attiva. “L’Afghanistan non si svuoterà da un giorno all’altro perché sono tornati i talebani”, dice Beccegato. Semmai si dovrà pensare nel lungo periodo a favorire “le procedure per il ricongiungimento famigliare con la comunità afghana già inserita ed attiva in Italia”.