In Colombia c’è l’urgenza di creare, di fronte a “un’assenza totale di mediazione”, spazi di scambi tra i cittadini e coloro che hanno autorità a livello locale (come i sindaci) o più ampia”, con altri soggetti come i Difensori del popolo, attori della società civile, osservatori internazionali, la stessa Chiesa. Lo scrive mons. Bruno Duffé, segretario del Dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale, nel diario della recente visita in Colombia, consegnato al gesuita Javier Giraldo e pervenuto al Sir. Durante i colloqui nelle zone periferiche del Paese, “molti si sono sorpresi di trovare un sacerdote per strada, vicino a loro, venuto dall’Europa, che si era preso del tempo per ascoltarli e anche consolarli quando alcuni genitori piangevano il loro figlio morto durante la tortura”, scrive mons. Duffé. Purtroppo, oggi l’assenza di dialogo e mediazione porta con sé due conseguenze “inquietanti”: una di carattere ideologico, la mancanza di volontà di risolvere il conflitto, e una fisica, l’aumento della violenza e del controllo sistematico delle persone. E “le due posizioni potrebbero confermare che abbiamo una nuova forma di dittatura”. Spazi di mediazione sociale e inter-posizione, secondo il segretario del Dicastero vaticano, sono auspicabili di fronte a giovani che “esprimono chiaramente il loro desiderio di vivere e di realizzare un progetto di vita personale e comunitaria”, oltre che tanta “sete di pace”. Sarebbe determinante, la comunità internazionale, “attualmente silenziosa”.
Mentre “il narcotraffico continua a esistere nell’ombra del Paese, e sappiamo che solo esso permette che si perpetui un sistema di corruzione, nel quale il diritto ha perso la sua autorità e autorevolezza”, la Colombia ha bisogno, secondo mons. Duffé, di un “patto per la vita”, di riaffermare l’autorità del diritto pubblico e dei diritti umani, e della mediazione sociale, che è l’unica possibilità per salvare il ‘patto sociale’, mettendola in pratica in tutti i luoghi: scuole, aziende, quartieri e campagne, chiese e case comuni”, suscitando una responsabilità per “il bene comune”. La Chiesa “può essere attore della Parola condivisa, del dialogo, della reciproca promessa e del perdono”.