“La verifica dell’identità della persona in possesso della certificazione verde ha natura discrezionale ed è rivolto a garantire il legittimo possesso della certificazione medesima. Tale verifica si renderà comunque necessaria nei casi di abuso o elusione delle norme come ad esempio quando appaia manifesta l’incongruenza con i dati anagrafici contenuti nella certificazione”. È la precisazione contenuta nella circolare diffusa dal Viminale sulle “Disposizioni in materia di verifica delle certificazioni verdi Covid-19”, a firma dal capo di Gabinetto, Bruno Frattasi. Riguardo al possesso del cosiddetto “green pass” – che attesta l’avvenuta vaccinazione anti Covid-19, la negatività al test molecolare o antigenico rapido nelle ultime 48 ore o la guarigione da Covid-19 negli ultimi sei mesi – e al suo utilizzo, si legge nella circolare, “occorre precisare che le vigenti disposizioni individuano due diverse successive fasi. La prima consiste nella verifica del possesso della certificazione verde da parte dei soggetti che intendono accedere alle attività per le quali essa prescritta”. “Tale prima verifica – viene spiegato – ricorre in ogni caso e proprio in ragione di ciò è configurata” come “un vero e proprio obbligo a carico dei soggetti ad essa deputati”. “La seconda fase”, prosegue il testo, “consiste nella dimostrazione da parte del soggetto intestatario della certificazione verde della propria identità personale mediante l’esibizione di un documento d’identità. Si tratta, ad ogni evidenza, di un’ulteriore verifica allo scopo di contrastare i casi di abuso o di elusione delle disposizioni”. A ciò sono tenuti, per esempio, “i pubblici ufficiali nell’esercizio delle pubbliche funzioni” mentre per gli esercenti di ristoranti e bar al chiuso “la verifica dell’identità della persona in possesso della certificazione verde ha natura discrezionale”. In ogni caso, sono richieste per l’operazione di verifica “modalità che tutelino anche la riservatezza della persona nei confronti di terzi”.