“E se fossi io l’estranea sulla strada?”. Si è aperto con la meditazione della biblista Samira Youssef Habil Sidarous sulla parabola del Buon Samaritano l’incontro online “Sisters Empowering Women”, che si è tenuto ieri pomeriggio, 8 luglio. Il quarto dei sei appuntamenti promosso dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg), con l’obiettivo di dare voce ai percorsi avviati dalle religiose per vivere e trasmettere i valori dell’enciclica “Fratelli tutti”, ha avuto per titolo: “Prendersi cura: la missione delle religiose”.
La cura intesa come cammino pastorale per costruire delle relazioni fraterne e l’attenzione ai più vulnerabili, soprattutto in un contesto di sofferenza come quello della pandemia, sono state al centro del webinar che ha visto gli interventi di sr. Maryanne Loughry, psicologa e ricercatrice, e di sr. Véronique Margron, teologa e presidente della Conferenza dei religiosi e delle religiose di Francia.
“Durante questa pandemia c’è stata una ‘rivoluzione della gentilezza’ – ha dichiarato sr. Loughry -. Siamo diventati desiderosi di fare dei sacrifici personali per il bene comune, di prenderci maggiore cura degli altri. Quello che ha aiutato noi donne religiose in questo periodo è il fatto che quando ci rivolgiamo ai nostri ministeri non ci fermano alle azioni quotidiane perché essi richiedono consapevolezza, prontezza ed emotività. La compassione ci aiuta a diventare consapevoli della sofferenza degli altri, dei rifugiati, dei senzatetto e delle persone che hanno problemi mentali, di cui quasi nessuno sembra volersi prendere cura”.
“La chiave – ha affermato sr. Margron – è quella di non essere indifferenti bensì mettere i propri talenti al servizio degli altri. Come religiose siamo qui per mostrare che non si può essere semplici spettatori passivi del mondo e che siamo chiamate ad agire, con le nostre forze e le capacità delle nostre comunità, per ciò che potrebbe rendere migliore la vita del nostro prossimo, più indipendente, meno solitaria e precaria. Nel far questo, non dovremo essere profeti del male ma cercare di diventare ‘artigiani della dignità umana’, per coltivare la possibilità di prenderci cura”.
“La cultura della cura, della gentilezza e della compassione devono diventare parte dell’ambiente complessivo, della vita religiosa e delle proprie comunità”, ha concluso sr. Patricia Murray, segretaria esecutiva dell’Uisg, che insieme a sr. Niluka Perera, coordinatrice del progetto “Catholic Care for Children”, ha messo in luce il prezioso lavoro delle oltre 100 congregazioni e realtà diocesane di Zambia, Uganda e Kenya, in prima linea per garantire ad ogni bambino il diritto di crescere in un ambiente familiare sicuro e amorevole.