Rosangela Lodigiani, curatrice del Rapporto su Milano, presentato ieri all’Ambrosianeum, si è soffermata sui dati dell’occupazione, “il primo elemento di inclusività ma anche la prima possibile fonte di criticità e diseguaglianza per chi il lavoro l’ha perso o lo perderà con il cessare delle tutele”, ha detto, segnalando come dato preoccupante “la crescita dell’inattività tra i giovani e le donne, soprattutto della fascia d’età centrale” e ponendo una domanda fondamentale: “La ripresa è per tutti o lascia indietro qualcuno?”. “Milano deve ripartire dalla sua identità”, ha ammonito la curatrice del Rapporto: “Abbiamo capito che il club delle città locali competitive tra loro, che corrono da sole, non ha futuro. Milano, poi, è una città di dimensioni intermedie, la cui identità si basa sulla mediazione: il suo genius loci è quello di saper parlare al mondo. La nostra è una città che guarda al mondo ma è radicata nel territorio e nel resto del Paese, è policentrica, ha tante diverse vocazioni da sviluppare e da tenere insieme: la prima è l’attitudine alla cura intesa come cura dei beni collettivi locali – l’ambiente, il suolo, l’aria, le infrastrutture, la salute, il lavoro e soprattutto le relazioni –: Milano vuol ripartire anche da qui”.
A margine dell’incontro l’arcivescovo Mario Delpini, presente in sala, ha rilasciato alcune dichiarazioni. Sul ruolo delle donne nella ripresa post-pandemia: “Milano ha sempre risposto alle avversità con grinta e fantasia, e la città non può fare a meno delle donne, che qui sono attive e propositive, come il Rapporto sulla città del 2020 ha ampiamente dimostrato”. Sul ruolo della Chiesa in questa delicata transizione: “Milano ha tante qualità, ma le manca la lietezza: per dare fiducia e favorire la ripresa c’è bisogno di una gioia interiore che noi cristiani portiamo dentro e che può costituire il nostro contributo alla ripartenza”.