(Amatrice) “Ascoltare, intervenire e contemplare”: sono queste le tre tappe della strada percorsa dalla diocesi di Rieti dopo il sisma del 24 agosto 2016. A delinearle è il vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, nel testo dal titolo “La strada percorsa”, contenuto nel libro “Andare Oltre. L’azione della Chiesa nei luoghi del terremoto”, presentato ieri sera, 22 luglio, ad Amatrice. Un volume di oltre 160 pagine, realizzato dalla diocesi reatina per raccontare il proprio impegno nel post-terremoto.
Quasi una risposta, ha detto mons. Pompili, a “quattro anni di nulla”, come qualcuno ha scritto, “lasciando affiorare la delusione di quanti avevano ceduto alla facile retorica del ‘non vi abbandoneremo’ o peggio ancora del ‘ricostruiremo come era e dove era’. La prima: “Ascoltare le persone, messe a dura prova da un cataclisma che ha capovolto non solo le case, ma la vita della gente, nei suoi ritmi quotidiani come nelle sue aspirazioni abituali”. Si è trattato di “una costante attenzione al dolore è avvenuta ovunque, tra le tende, tra i container e le Sae (soluzioni abitative di emergenza) grazie ai volontari, ai religiosi, ai professionisti che si sono mobilitati a livello sanitario, scolastico, culturale e sportivo. La seconda: “Intervenire, cioè provare a dare una risposta concreta, apolitica e gratuita a chi era nel bisogno. Se ne ricavano immediatamente le caratteristiche della carità cristiana, di cui la Caritas è stata lo strumento più efficace. Sono state così aiutate innumerevoli famiglie, singoli individui, imprese e aziende agricole o dell’agro-alimentare, senza cercare altro che sostenere chi rischiava l’abbandono e la depressione. Non è mancata – ricorda mons. Pompili – una vera e propria impresa sociale che introducesse il Terzo settore in un contesto in cui non bastava solo il pubblico o il privato a garantire una serie di servizi di pubblica utilità”.
La terza: contemplare, cioè “l’attenzione ai beni naturali e culturali. Qui l’obiettivo – spiega il vescovo di Rieti – è stato di far risplendere la bellezza, per quanto ferita, che è l’unico antidoto alla tristezza e ad un mondo piatto e asfittico. Ritrovare la bellezza ha significato due cose. Accorgersi della meravigliosa dimensione naturalistica che ha come sfondo i monti della Laga, ma anche operare per la messa in sicurezza delle chiese e dei beni artistici ivi custoditi. Ora che quasi cinque anni sono passati ci si accorge che si è appena all’inizio. Ma la strada intrapresa è già un modo semplice e non retorico per dare risposta alla domanda affiorata subito dopo il terremoto: perché è accaduto?”.