I risultati raggiunti dal Fondo di solidarietà per le vittime di racket e usura, che negli ultimi anni ha accolto circa la metà delle domande di accesso per circa la metà dell’importo richiesto, “qualificano un percorso di riflessione, condotto in questi ultimi anni dalla struttura commissariale, sulla necessità di intraprendere iniziative di carattere amministrativo, di potenziamento delle procedure digitalizzate e di iniziative per modificare la legislazione di riferimento”: lo ha detto il commissario straordinario Giovanna Cagliostro, concludendo la presentazione, in prefettura di Milano, dello studio realizzato dall’Università Bocconi sul Fondo di solidarietà.
Il commissario straordinario ha accennato anche agli aspetti sui quali intervenire per ottimizzarne le performance e renderlo così “uno strumento più conosciuto, più efficiente nei tempi e nelle modalità di trattazione delle istanze e, quindi, più efficace come incentivo alla denuncia da parte delle vittime”.
I ricercatori della Bocconi, coordinati da Eleonora Montani, hanno costruito un database delle oltre 5.000 richieste alle quali il Fondo ha dato finora risposta, analizzandone circa il 20% nell’ambito di un’elaborazione preliminare dei dati dalla quale emerge che “le domande di accesso al Fondo sono più frequenti in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, dove si collocavano tradizionalmente le principali organizzazioni criminali mafiose – che di usura e racket si servono per controllare il territorio e infiltrare l’economia locale -, e in Basilicata”.
Rispetto ai dati analizzati, le istanze presentate da vittime di estorsione sono il doppio di quelle presentate da vittime di usura, anche per le caratteristiche di questo tipo di reato, come ha osservato la coordinatrice, “subdolo e dotato di un’incredibile capacità di annichilire umanamente, psicologicamente ed economicamente le vittime”, le quali denunciano solo quando sono allo stremo; per questo nell’82% dei casi, laddove ottengano il prestito a interessi zero dal Fondo, lo utilizzano per ripagare i debiti, senza più risorse per reinserirsi.
Quanto ai settori economico-produttivi più colpiti, i dati esaminati confermano le evidenze processuali: coltivazioni, produzione animali, caccia e connessi (15,9%), commercio al dettaglio (15,2%), attività servizi di ristorazione (13,8%), costruzione edifici (14,5%), commercio e riparazione autoveicoli e motocicli (9,0%), mentre si segnala nello studio come un’anomalia la mancanza di riscontri nei settori delle forniture ad amministrazioni pubbliche e della gestione rifiuti.