Con l’accelerazione impressa nell’ultimo anno “il digitale ha dimostrato di poter essere al servizio dell’uomo, ma non senza un prezzo di cui bisogna avere consapevolezza: l’accentramento progressivo, in capo alle piattaforme, di un potere che non è più soltanto economico, ma anche – e sempre più – performativo, sociale, persino decisionale”. Lo ha affermato questa mattina Pasquale Stanzione, presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, presentando alla Camera dei deputati la Relazione annuale sull’attività svolta nel 2020.
“Un potere – ha spiegato – che si innerva nelle strutture economico-sociali, fino a permeare quel ‘caporalato digitale’ rispetto ai lavoratori della gig economy, protagonisti (anche in Italia) del primo sciopero contro l’algoritmo: gli ‘invisibili digitali’, come da taluno sono stati definiti”. I “gatekeepers”, ha proseguito, “stanno assumendo un ruolo sempre più determinante nelle dinamiche collettive, economiche, persino politiche, assurgendo a veri e propri poteri privati scevri, tuttavia, di un adeguato statuto di responsabilità”. “La pandemia – ha osservato Stanzione – ha dimostrato l’indispensabilità dei servizi da loro forniti ma, al contempo, anche l’esigenza di una strategia difensiva rispetto al loro pervasivo ‘pedinamento digitale’, alla supremazia contrattuale, alla stessa egemonia ‘sovrastrutturale’, dunque culturale e informativa, realizzata con pubblicità mirata e microtargeting”.
Riferendosi anche alla vicenda della sospensione degli account Facebook e Twitter di Donald Trump, il Garante ha sottolineato poi l’esigenza di una “cooperazione” delle piattaforme “nell’impedire che la rete divenga uno spazio anomico dove impunemente si possano violare diritti, senza tuttavia ascrivere loro un ruolo arbitrale rispetto alle libertà fondamentali e al loro bilanciamento, da riservare pur sempre all’autorità pubblica”.