In Puglia, durante il primo lockdown da marzo a maggio 2020, sono aumentate del 56% le persone che si sono rivolte ai 678 centri d’ascolto Caritas (parrocchiali, vicariali e diocesani). Un totale di circa 119mila persone hanno chiesto il supporto: sono pari a 47.942 famiglie, in maggioranza con figli minori. Sono i dati che emergono da un volume di 108 pagine “Chiese chiuse… Chiesa aperta” della Delegazione regionale di Caritas Puglia, a cura di Serena Quarta e Alessandro Mayer, che contiene una dettagliata analisi quantitativa e qualitativa sulle attività delle Caritas pugliesi e sul volto dei cosiddetti “nuovi poveri” della pandemia. “Preoccupa molto – si legge nel report – vedere in cima alla presenza le famiglie con minori, segno di una sofferenza notevole delle famiglie con figli e dell’effetto tragico che le condizioni di povertà possono avere sulle giovani generazioni che rischiano di portare con sé, da adulti, condizioni di deprivazione”. Ampia è anche la presenza di “famiglie che non hanno lavoro o che lo hanno perso proprio sotto la spinta degli effetti della pandemia” e “non meno preoccupante la situazione dei lavoratori a nero”, tra i quali i braccianti agricoli. Spicca la presenza dei circensi: categorie rimaste “incastrate” tra “le dinamiche di tutela della salute e la condizione di precarietà lavorativa”. Tra i servizi gestiti direttamente dalle Caritas diocesane vi sono stati la distribuzione viveri a domicilio, un numero verde per accogliere le richieste e smistarle nei diversi servizi offerti, gli empori, numerosi interventi di integrazione al reddito. Il volume, osserva nella prefazione mons. Giovanni Checchinato, vescovo di San Severo e delegato della Conferenza episcopale pugliese per la carità, mostra “una Chiesa rispettosa del distanziamento fisico ma capace altresì di vicinanza sociale”: “Il distanziamento fisico non ha impedito la vicinanza sociale, anzi ha spinto i cristiani di Puglia a trovare nuovi modi di risposta”. Si è infatti registrata “una forte presenza di nuovi volontari soprattutto giovani e si è sperimentata la capacità di evangelizzare a partire dalla testimonianza della carità”. “La Chiesa della pandemia è stata paradossalmente una Chiesa più missionaria di prima, capace di animare il territorio – afferma –. Una Chiesa che finalmente esce fuori anche dall’idolatria dell’autoreferenzialità, consapevole del suo ruolo di protagonista nell’animazione e nella sussidiarietà, piuttosto che esperta dell’assistenza”.