Con la rinuncia del premier designato Saad Hariri a formare un nuovo governo “si apre una nuova tappa della crisi libanese. L’esito appare incerto: potranno aprirsi nuove vie d’uscita, oppure il Paese affonderà ancora di più nei problemi che lo stanno travolgendo”. Il sacerdote maronita Rouphael Zgheib, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) in Libano, parlando a Fides, sceglie “toni attendisti e non perentori” per descrivere la possibile evoluzione della drammatica congiuntura attraversata dal Paese dei Cedri. Da 11 mesi il Libano è senza un governo in carica. La svalutazione della lira ha provocato una inflazione devastante, in un Paese segnato dalla mancanza di carburante, dalla emergenza pandemica, dal razionamento delle forniture di energia elettrica e dalla rabbia sociale, alimentata anche dalla mancata individuazione dei responsabili della strage provocata dall’esplosione nel porto di Beirut (4 agosto 2020). In questo scenario, nella giornata di ieri, giovedì 15 luglio, il primo ministro incaricato, Saad Hariri, dopo aver presentato la lista di 24 ministri tecnici da lui scelti, ha rinunciato all’incarico. Il passo indietro del leader del Partito sunnita “Futuro” viene presentato dai media mainstream come esito del braccio di ferro che da mesi avrebbe visto contrapporsi Hariri al presidente del Libano, l’ex generale cristiano maronita Michel Aoun, in merito alla composizione della squadra di governo. Analisti locali, consultati dall’Agenzia Fides, considerano “troppo ristretta e parziale la griglia di lettura che riconduce la crisi libanese allo scontro al vertice tra premier incaricato e presidente, e chiamano in causa fattori e incognite di ordine geopolitico che condizionano in maniera determinante gli attuali scenari nel Paese dei Cedri. In particolare, l’indebolimento politico di Hariri secondo molti sarebbe dovuto al venir meno dell’appoggio esercitato in passato nei suoi confronti da parte dell’Arabia Saudita”.