Se la variante Delta mutasse ulteriormente e diventasse vaccino resistente “occorrerebbe pensare a nuovi i tipi di vaccini”. A parlare in una intervista al Sir è Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive al Policlinico Agostino Gemelli Irccs di Roma. L’esperto richiama come esempio il vaccino cinese Sinovac che, spiega, “utilizza tutto il virus intero inattivato. Contiene cioè il coronavirus intero e quindi induce una risposta di tipo policlonale. In caso di mutazione, e quindi di risposta meno efficace contro la proteina Spike, componente privilegiato nella maggioranza dei vaccini finora sviluppati, un vaccino come quello cinese potrebbe indurre risposte efficaci nei confronti degli altri componenti virali. Oppure si potrebbe pensare ai vaccini antigenici”. In sostanza, per quanto riguarda i richiami, secondo il professore sarebbe opportuno considerare “anche tipi di vaccini diversi che potrebbero assicurare una risposta non solo verso lo Spike”.
Nel frattempo, occorre contrastare la diffusione delle varianti “rafforzando il tracciamento, potenziando il sequenziamento e accelerando la campagna vaccinale”. Ma – avverte Cauda -“occorre senso di responsabilità da parte dei cittadini che devono evitare di mettersi in situazioni di rischio: avere l’accortezza di usare mascherine al chiuso, e all’aperto dove non è possibile il distanziamento fisico. Devono inoltre prenotarsi per le vaccinazioni. Le istituzioni, da parte loro, devono incentivare i test biomolecolari rispetto agli antigenici, perché solo i primi consentono il sequenziamento delle varianti. E poi tracciamento dei contatti e isolamento dei contagiati. Ma devono anche giocare d’anticipo e fare scorte sufficienti di vaccini”.