I vescovi del Venezuela si oppongono alla diffusione del vaccino cubano “Abdala” nel Paese perché “secondo la comunità scientifica venezuelana” è considerato un “esperimento biologico non autorizzato”: lo scrivono nella esortazione pastorale a conclusione della CXVI Assemblea ordinaria dell’episcopato, che si è svolta on line a causa della pandemia da Covid-19 che non accenna a diminuire nel Paese. “Siamo in molti ad essere vittime di questa terribile malattia”, scrivono nella nota inviata al Sir, a cui si aggiunge “la crisi sanitaria: gli ospedali mancano del necessario, i medici e il personale infermieristico non hanno i dispositivi adeguati”, le medicine costano e “il popolo impoverito soffre di più”. Oltre a questo, sottolineano, “manca un serio piano di vaccinazioni”: “Non si può giocare con il sacro diritto alla salute”. I vescovi lanciano perciò un appello al governo “perché attrezzi gli ospedali del necessario per occuparsi della salute del nostro popolo, soprattutto rispetto alla pandemia da Covid-19”, affinché “implementi una autentica e seria politica di vaccinazioni a beneficio di tutta la popolazione, con vaccini riconosciuti e autorizzati dall’Oms”. La Conferenza episcopale punta il dito anche contro la crisi del sistema educativo, i bassi salari degli insegnanti, l’alto tasso di abbandoni scolastici: “Pretendere che l’educazione formale si faccia su internet è una illusione – sottolineano – perché meno del 20% delle famiglie ha accesso a questo servizio”. Le politiche educative, suggeriscono, devono tendere a realizzare “un Patto educativo globale” che coinvolga tutti gli attori interessati. A proposito di alcune situazioni violente accadute nella capitale Caracas, per mano di gruppi armati irregolari e bande criminali, i vescovi solidarizzano con le vittime ed esortano le istituzioni statali a rispettare “il principio della centralità e della dignità umana, per il quale bisogna anteporre la sicurezza personale dei cittadini a qualsiasi altro interesse”. I vescovi citano anche un episodio accaduto ad una Ong locale impegnata nella difesa dei diritti umani ai cui membri è stato negato il diritto “ad un dovuto processo, oltre ad essere stati detenuti e trasferiti senza permettere alcuna comunicazione con i familiari e gli avvocati”.