Strutture residenziali: don Arice (Cottolengo), “non ci sia solo attenzione alla dimensione alberghiera ma altrettanta cura sociale e spirituale”

“Siamo contenti se le persone che vivono con noi arrivano a benedire la vita”. Lo ha detto don Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo, durante il quinto webinar “Una crisi da non sprecare” promosso dal Servizio nazionale Cei per la pastorale delle persone con disabilità dedicato a “Le strutture residenziali: case per la vite”. “Intendiamo la Casa – ha aggiunto don Arice – come luogo delle relazioni, nel quale ci si incontra nel rispetto della identità di ciascuno. Lo sottolineo perché se non partiamo da questo non comprendiamo cosa ha significato il tempo terribile della pandemia che abbiamo vissuto. È stata una prova dell’umanità, legata al microcosmo che ciascuno di noi ha vissuto. La nostra salute veniva messa a dura prova insieme alle nostre relazioni. Abbiamo avuto gli operatori che sono stati straordinari, hanno scelto di non tornare a casa per continuare a servire. Abbiamo avuto religiosi che nella prima ondata hanno pagato il prezzo più alto: 57 suore hanno terminato il loro cammino terreno. Abbiamo continuato ad avere una presenza pastorale: vestito come marziano, sono andato nei reparti Covid. È stata una notte nella quale sono brillate tante stelle, come gli ospiti stessi che hanno dimostrato la capacità di reggere in modo esemplare”. Riguardo all’iniziale allarme nei confronti delle Rsa, dove i focolai erano tanti, don Carmine ha precisato: “Ho fatto fatica quando è stata fatta una lettura dell’esperienza non corretta. La prova a cui sono state sottoposte è grande. Più che dire ‘Rsa sì, Rsa no’, dobbiamo dire ‘Rsa come e perché’”. E concludendo ha detto: “Dobbiamo camminare tanto perché non ci sia solo attenzione alla dimensione alberghiera, ma ci sia altrettanta cura della dimensione sociale e spirituale. Tutte queste dimensioni devono essere armonizzate”. Durante l’incontro sono state trasmesse le testimonianze dei familiari delle persone ospiti nelle strutture, come quella di Maria Grazia, madre di un ragazzo che vive da quattro anni nella Asp Charitas di Modena.

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