“Potrebbero oscillare tra i 600 e i 1.200 i detenuti in Eritrea a causa della fede”. È quanto denuncia Porte Aperte/Open Doors, associazione da oltre 60 anni impegnata a supporto dei cristiani che soffrono a causa della loro fede. Solo a marzo 2021, più di 30 cristiani sono stati prelevati dalla polizia durante una serie di raid nelle città di Asmara e Assab. Nel mese di maggio, altri due cristiani sono stati arrestati nella capitale Asmara con l’accusa di appartenere a un gruppo religioso non riconosciuto dal governo. Una legge del 2002, infatti, legittima la libertà di culto solo alle chiese ortodosse, cattoliche e luterane. I cristiani che non appartengono a uno di questi tre gruppi, quindi, sperimentano, spiega Porte Aperte, livelli molto alti di persecuzione, come la discriminazione, il monitoraggio, le incursioni nelle case e gli arresti. “Dal 2020, il governo eritreo ha iniziato a rilasciare i cristiani imprigionati per la fede, inducendo a pensare che stesse allentando le sue politiche repressive”, afferma Yonas Dembele, analista del team di ricerca di Porte Aperte/Open Doors. “Tuttavia, i recenti arresti hanno spento tali speranze. Sono soprattutto i cristiani pentecostali a essere considerati ‘strumento dei governi stranieri'”. È inoltre probabile, aggiungono dall’associazione, che, una volta rilasciati, gli ex-detenuti vengano costretti ad arruolarsi nell’esercito locale, spesso in condizioni disumane e senza un salario sufficiente a provvedere alle necessità di base. “Porte Aperte/Open Doors continua a chiedere alla comunità internazionale di sollecitare il governo eritreo a rispettare pienamente la libertà di religione e a fermare l’arresto arbitrario e la detenzione a tempo indeterminato di centinaia di cristiani che non hanno mai beneficiato di un giusto processo legale”, afferma Jo Newhouse, portavoce di Porte Aperte nella missione nell’Africa subsahariana.