“Nel pensare al ritiro dei militari italiani dalla missione in Afghanistan, da pastore, sento di manifestare loro una profonda gratitudine. Lo stile di competenza, correttezza e cura dell’umano che caratterizza i militari italiani è apprezzato ovunque e contribuisce incisivamente a creare un clima di rispetto e di pace, anche nelle relazioni con le autorità del luogo e con militari di altre nazionalità”. È quanto dichiara al Sir l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia (Omi), mons. Santo Marcianò, dopo che ieri è stata ammainata la bandiera italiana nell’hangar dell’aeroporto di Herat, in Afghanistan. Con la cerimonia, svoltasi alla presenza del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e delle più alte cariche militari, si chiude la ventennale missione italiana nel Paese asiatico che ha visto 53 nostri militari caduti e 700 feriti, ai quali è stato tributato un minuto di silenzio. Al ricordo e alla preghiera per i soldati morti, mons. Marcianò aggiunge anche il suo “grazie” ai cappellani militari: “I cappellani militari si prendono cura in modo globale delle comunità, ne condividono, nel quotidiano, le situazioni di difficoltà o di paura, l’incertezza e la delicatezza delle scelte, i momenti più sereni di fraternità. Rimangono accanto ai militari in situazioni drammatiche, quali attentati o incidenti, facendosi carico del dolore e dei problemi delle loro famiglie”.
Quello di ieri è stato un ammainabandiera simbolico perché nella base italiana il lavoro di smobilitazione continua. Molto del materiale logistico, infatti, è destinato a rientrare in Italia, mentre le strutture realizzate in questi 20 anni resteranno alle autorità afghane. Per quanto riguarda, invece, le operazioni di rimpatrio di uomini, erano 800 a inizio anno, queste dovrebbero concludersi a breve, in anticipo rispetto alla data simbolica dell’11 settembre annunciata dal presidente Joe Biden e confermata dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.