Bisognerà attendere per sapere chi sarà il prossimo presidente del Perù. Come 5 anni fa, l’esito del ballottaggio è appeso pochi voti. Ieri, subito dopo la chiusura dei seggi, gli exit poll hanno fotografato un lieve vantaggio della candidata di destra Keiko Fujimori (Fuerza Popular), accreditata del 50,3% contro il 49,7% del candidato di sinistra Pedro Castillo (Perù Libre). Tendenza rovesciata un paio di ore dopo, quando le proiezioni dell’istituto Ipsos hanno ipotizzato una lievissima vittoria di Castillo (50,2%). I risultati ufficiali danno un vantaggio più netto alla Fujimori, che all’80% del conteggio rapido, è accreditata del 51,5%. Ma si tratta di numeri ancora provvisori, dato che mancano soprattutto sezioni nella periferia del Paese, dove Castillo è molto votato.
Oltre a una frattura tra estrema destra ed estrema sinistra, questo strano e acceso ballottaggio ha infatti sancito una frattura netta tra le diverse zone del Paese: Lima, il porto di Callao e la zona metropolitana della capitale (dove risiede oltre metà della popolazione peruviana) hanno votato per Keiko Fujimori, mentre le zone rurali, soprattutto andine, hanno dato un consenso plebiscitario, in qualche caso superiore all’80%, a Pedro Castillo.
In ogni caso, chiunque sia il vincitore, si troverà a fare i conti con un diffuso scetticismo sulla sua “democraticità” e con un Paese spaccato. Anche per questo ieri, durante l’omelia domenicale, l’arcivescovo di Lima, mons. Carlos Castillo, primate del Perù, ha invitato a “ricostruire l’amicizia sociale a partire dal nostro stesso popolo, pronti ad affratellarci, mettendo da parte ciò che ci ha impedito di relazionarci adeguatamente”.