“Una via diversa per affrontare la realtà del carcere e i suoi problemi molteplici forse è percorribile, ed è segnalata proprio dal Coronavirus e dai problemi che esso ha posto in evidenza in modo drammatico. È la via della solidarietà”. Lo afferma Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, in una intervista pubblicata sul numero di giugno di “Vita Pastorale” sul tema del carcere in tempi di Covid. Al 28 febbraio i detenuti erano 53.697; un anno prima, a pochi giorni dalla scoperta del “paziente zero di Codogno”, erano in 61.230. Ancora non si parlava di lockdown. In dodici mesi gli istituti di pena si sono svuotati del 12%. Anche se è la stessa amministrazione penitenziaria a riconoscere che rispetto al tasso di affollamento ufficiale del 106%, quello reale sale al 115%, compresi i reparti chiusi. “Solidarietà – precisa Flick – vuol dire anche guardare alla condizione del detenuto, non ridurlo a un diverso’. Comprendere che gli ‘spazi residui’ di libertà personale non possono, comunque, essere garantiti da una pena in carcere. È, questa, un’occasione per riflettere. E per riuscire, forse, a superare il carcere, a farvi ricorso solo per le persone di cui sia accertata la violenza, l’aggressività, il ‘codice rosso’. Forse, l’emergenza Coronavirus può sollecitare un passo così innovativo. Potrebbe aiutarci a riscrivere la funzione del carcere nel nostro sistema”. Flick ricorda che “il carcere viene considerato un mondo a parte, poroso ma impermeabile a qualsiasi forma di cambiamento; uno strumento di reazione alla paura del diverso. Non è utilizzato come extrema ratio, per casi particolarmente gravi, ma come metodo normale per risolvere quello che è percepito come un problema ordinario”. A parere del giurista si continua a perseguire la strada del “carcere a ogni costo” e “ci si dimentica dei diritti e della dignità del detenuto, oltre che della funzione educativa della pena”. “Ma c’è un principio che spesso viene dimenticato: è la pari dignità sociale – sottolinea -, la quale non esclude nessuno, neanche i detenuti; neanche i condannati per i reati più gravi. È una dignità che spesso viene negata nei fatti che sembrano rendere impossibile un carcere diverso da quello attuale”.