Sono due le Note diffuse dalla presidenza della Cei sul ddl Zan. Nella prima, che porta la data del 10 giugno 2020 e si intitola “Omofobia, non serve una legge”, si denuncia che “un’ eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’ espressione di una legittima opinione, come insegna l’ esperienza degli ordinamenti di altre nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’ esercizio di critica e di dissenso”. Per i vescovi italiani, “oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore”, si deve innanzitutto “promuovere l’ impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto”. Un anno dopo, e precisamente il 28 aprile scorso, la presidenza della Cei ha diffuso una seconda Nota sul ddl Zan, dal titolo “Troppi dubbi: serve un dialogo aperto e non pregiudiziale”, al centro della quale c’è un chiaro monito: “Una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza, mettendo in questione la realtà della differenza tra uomo e donna”.“Sentiamo il dovere – spiegano i vescovi – di riaffermare serenamente la singolarità e l’ unicità della famiglia, costituita dall’ unione dell’ uomo e della donna, e riconosciamo anche di doverci lasciar guidare ancora dalla Sacra Scrittura, dalle scienze umane e dalla vita concreta di ogni persona per discernere sempre meglio la volontà di Dio”. Nella Nota della Cei, inoltre, si ricorda che “in questi mesi sono affiorati diversi dubbi sul testo del ddl Zan in materia di violenza e discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere, condivisi da persone di diversi orizzonti politici e culturali”. “È necessario che un testo così importante cresca con il dialogo e non sia uno strumento che fornisca ambiguità interpretative”, conclude la Cei, auspicando che “si possa sviluppare nelle sedi proprie un dialogo aperto e non pregiudiziale, in cui anche la voce dei cattolici italiani possa contribuire alla edificazione di una società più giusta e solidale”.