“Molte famiglie sono allo stremo non solo per difficoltà del lavoro che viene meno, ma anche perché prive di una sicura speranza per il futuro. L’epidemia ha molto abbassato il nostro orgoglio e ha fatto emergere quanto la carenza di valori etici e spirituali siano stati ignorati e disattesi, sotto la spinta di un cieco individualismo e della ricerca del bene per se stessi a scapito del bene comune”. Lo ha affermato ieri mattina l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nell’omelia che ha pronunciato per la solennità della Consolata, patrona della diocesi.
“Penso che questa tragica esperienza che abbiamo vissuto – ha osservato l’arcivescovo – interpelli la nostra società e il nostro stile di vita, ritenuti fino a ieri, con un certo orgoglio, all’avanguardia nella tecnologia, nella medicina, nelle previsioni del futuro, nell’uso smodato dei mezzi più sofisticati per la propria felicità… insomma, una società che credeva molto nelle conquiste della scienza e che aveva fatto in questi ultimi anni in diversi campi un progresso enorme e se ne gloriava, perché era frutto della sua potenza e grandezza, ritenute invincibili”. “Tutto ciò – ha proseguito – è stato messo in ginocchio, nel caos e nella paura, da un piccolissimo virus, così come è avvenuto nell’‘ignorante Medioevo’ con la peste o il colera”. £Dove è finito tutto il progresso della scienza e della tecnica, che rappresentava il nostro orgoglio e la fonte di sicurezza assoluta, se siamo stati battuti in tutto e per tutto da un insignificante organismo, che ci spaventa come un mostro invincibile e ci obbliga a cambiare radicalmente la nostra vita quotidiana?”, ha chiesto Nosiglia, secondo cui “la crisi può diventare pertanto un’opportunità, se aiuta le nostre famiglie e le nostre comunità ad interrogarsi seriamente sul proprio stile di vita, sull’uso corretto e solidale dei soldi e delle risorse economiche, sul vivere ogni giorno con sobrietà, sul senso del limite, sull’apertura alla fraternità”. “Essa – ha ammonito l’arcivescovo – ci sprona soprattutto a ricercare la fede in Gesù Cristo, morto e risorto, quale fondamento della vita personale, familiare e comunitaria, andando oltre il proprio travaglio vissuto e scoprendo che c’è anche in questa pandemia un appello del Signore a non cedere allo scoraggiamento, ma a confermare ancora di più la convinzione che niente e nessuna, pur tragica, esperienza umana potrà mai separarci dall’amore di Cristo”. “Questa certezza – ha sottolineato – apre il cuore, la mente e la parte più intima e profonda di ciascuno alla speranza”.