Sostegno al Movimento di disobbedienza civile e detenzione di armi. Questi i due principali sospetti che spingono i militari a irrompere nelle case dei preti e nelle parrocchie, arrestare i sacerdoti e a sottoporli a lunghi interrogatori. Ma “non è vero” e le informazioni raccolte “sono errate”. “Facciamo quindi appello al rispetto dei luoghi santi di qualsiasi religione e di ogni essere umano in Myanmar”. Interpellato dal Sir, è mons. Lucius Hre Kung, vescovo della diocesi di Hakha, nello Stato di Chin, a spiegare cosa sta succedendo nella sua Regione e a lanciare un appello. Il 16 giugno scorso i militari – facendo irruzione nella sua residenza – avevano arrestato e poi rilasciato dopo un interrogatorio padre Michael Aung Ling, parroco nella chiesa cattolica di san Giuseppe a Kanpetlet. Era stato prelevato dalle forze militari nella casa del clero – racconta il vescovo – e lo hanno portato nel loro ufficio a Kanpalet alle 7 di mattina. “I militari pensavano che p. Michael Aung Ling supportasse il Movimento di disobbedienza civile (Cdm) e detenesse armi. Ma poiché l’interrogatorio è andato bene, è stato rimandato a casa alle 19 dello stesso giorno”. Non è la prima volta che i militari entrano con la forza e danneggiano chiese e monasteri. “Recentemente forze militari sono entrate anche nella chiesa del Sacro Cuore nella città di Mindat”, racconta mons. Kung, “e hanno effettuato un’ispezione. Ciò è accaduto perché i militari hanno informazioni errate. La chiesa era sospettata di nascondere armi per le Chinland Defense Forces. Ma non è vero, non succede mai nelle nostre chiese”. Quello che succede invece è che le chiese diventano spesso luoghi di rifugio per gli sfollati, in maggioranza donne e bambini, che fuggono dalle loro case a causa dei combattimenti. Anche nella chiesa del Sacro Cuore a Mindat (sempre nello Stato del Chin), il parroco ha aperto le porte ai rifugiati evitando in questo modo che le persone vadano nella giungla dove poi è molto difficile raggiungerle e distribuire aiuti umanitari. “Facciamo appello al rispetto dei luoghi santi di qualsiasi religione e di ogni essere umano in Myanmar”, dice il vescovo. “A causa dei conflitti e dei combattimenti di questi giorni, e anche a causa della persistenza del Covid-19, le persone nello Stato di Chin sono in difficoltà per ogni parte aspetto della loro vita”. E aggiunge: “Rilancio anche l’appello dei vescovi del Myanmar perché siano garantiti corridoi umanitari nelle zone di conflitto e rispettati il diritto e la santità dei luoghi di culto”. Impegnati in prima linea a fianco dei rifugiati e nella distribuzione degli aiuti umanitari, i cattolici in Myanmar stanno anche intensamente offrendo preghiere. “Chiediamo a tutte le comunità cattoliche del mondo – dice il vescovo – di unirsi a noi con una messa per la pace e la riconciliazione del Paese, la recita del Rosario per chiedere la materna protezione di Maria, Madre dell’Aiuto ed un’ora di adorazione”. Mons. Kung ricorda infine che la Conferenza episcopale del Myanmar ha chiesto a tutte le forze politiche e civili del Paese di “lavorare per una pace duratura ricordando i settant’anni di conflitto che questo Paese ha attraversato e che continua a vivere rendendo fragili persone innocenti. Il Myanmar merita di entrare a far parte della comunità delle Nazioni, mettendo il suo passato nella storia e investendo nella pace. Nessuna violenza può negare la dignità umana insita nelle persone. È la lezione della storia. Il comunicato della Conferenza episcopale si è concluso con il consueto invito del cardinale Bo: ‘La pace è ancora possibile. La pace è la via’”.