“Almeno 33.000 bambini in zone inaccessibili del Tigray, in Etiopia, sono gravemente malnutriti e, senza un aiuto immediato, sono in imminente pericolo di vita”. È l’allarme lanciato da Henrietta Fore, direttore generale dell’Unicef, ricordando che nell’Etiopia settentrionale sono oltre 2,2 milioni in bambini in condizioni di insicurezza alimentare acuta, tra cui 140.000 nella regione del Tigray. “Solo nell’ultimo mese – racconta Fore -, abbiamo assistito a un aumento di quattro volte dei ricoveri settimanali di bambini per la cura della malnutrizione acuta grave”. L’Unicef prevede che 56.000 bambini sotto i cinque anni nel Tigray avranno bisogno di cure quest’anno contro la malnutrizione acuta grave, quasi sei volte di più della media annuale dei casi nella regione. Anche i tassi di malnutrizione tra le donne in stato di gravidanza e di allattamento sono costantemente superiori al 40%, minacciando la vita dei neonati e delle loro madri. A peggiorare le cose sono stati i danni ai sistemi e ai servizi essenziali a causa del conflitto interno. “I team mobili per la salute e la nutrizione sono stati attaccati – spiega Fore -. Le strutture sanitarie sono state saccheggiate o danneggiate e la capacità di fornire vaccinazioni essenziali si è bloccata. Molti operatori sanitari non sono tornati al lavoro. La distruzione delle infrastrutture idriche ha causato un’estrema scarsità di acqua potabile”. Questi sviluppi, avverte il direttore generale dell’Unicef, “potrebbero portare a focolai di malattie, esponendo i bambini malnutriti a un rischio di morte ancora maggiore. I siti che ospitano bambini sfollati e famiglie sono particolarmente vulnerabili alla trasmissione di malattie a causa delle condizioni insalubri e di sovraffollamento. La situazione, che è già catastrofica, potrebbe peggiorare ulteriormente poiché si prevede che l’insicurezza alimentare peggiori nei prossimi mesi, specialmente se non sarà possibile piantare i raccolti”. L’Unicef ha urgente bisogno di un sostegno finanziario più forte da parte dei donatori e chiede alle parti in conflitto di garantire agli operatori umanitari “accesso sicuro e senza ostacoli sul campo per evitare una carestia diffusa”.