“Sogno di vedere una cultura dinka e una cultura nuer depurate da tutti quegli elementi violenti, per promuovere una vita comune, bella, dove tutti sono uguali e possono godere ugualmente delle risorse”. Lo afferma al Sir mons. Christian Carlassare, il vescovo eletto di Rumbek in Sud Sudan ferito alle gambe in un agguato una settimana fa, parlando dall’ospedale di Nairobi dove è ancora ricoverato. “Sentendo il mio richiamo al perdono – dice – molte persone si sono rivolte a me con grande rispetto, lodando questa intenzione. Altre invece hanno detto che più che di perdono c’è bisogno di giustizia. E lo confermo, perché quando c’è un crimine bisogna prima ripararlo e fare una scelta giusta per aiutare la persona a convertirsi, cambiare e riconoscere l’errore fatto”. “Non si tratta di un perdono sterile per coprire tutto, come se non ci fosse mai stato – precisa -. Bisogna essere capaci di prendersi le proprie responsabilità rispetto ai crimini commessi. Rimane il fatto che, di fronte a tutto il male che c’è nel mondo, solo il perdono dà una speranza per il futuro. Ci ho tenuto molto e ci credo: pur chiedendo giustizia ed esigendo un percorso secondo legalità, c’è bisogno anche di un perdono interiore. Non significa tornare a tutto com’era. I cuori devono essere sanati dal perdono. Perdonare è prima di tutto un bisogno che nasce dentro di me. Ma penso possa essere anche un bisogno dell’altro, nel momento in cui riconosce la sua colpa, con la volontà di cambiare perché si è sentito amato. Questa è una esperienza nuova in Sud Sudan. Credo che le persone che hanno compiuto questo gesto hanno bisogno di sentirsi amate, nonostante quello che hanno fatto”. Il suo appello alla gente di Rumbek e a tutti i sudsudanesi è “di sognare in grande e lasciare da parte tutta quella rabbia, quello scontento e quella insoddisfazione che viene dal conflitto e da una catena di violenza che non ci permette di sperare in un mondo altro, dove chi vince è sempre il più forte, dove per ottenere qualcosa bisogna lottare. Questo non è il Sud Sudan, non è il nuer, non è il dinka, nessuna tribù fa così. Bisogna riscoprire quei valori belli dell’Africa, della famiglia, della solidarietà, della comunione, della pace, che c’erano prima della storia violenta comparsa negli ultimi 50 anni di conflitti”.