“Da san Giuseppe il carpentiere possiamo e dobbiamo imparare a non spaventarci quando si presentano situazioni nuove e impreviste nel corso della nostra vita e anche nella nostra vocazione; poi a lasciarci illuminare dalla parola di Dio che ci aiuta a comprendere in modo più profondo ciò che la nostra intelligenza umana rischierebbe di catalogare solo come problema da risolvere”. “È un bel programma di vita quello che ci viene suggerito da san Giuseppe” secondo il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, che sabato mattina, a Betlemme, ha celebrato una messa per ricordare il “patrono e intercessore” di tutti i lavoratori. Nella sua omelia il Custode ha evidenziato due caratteristiche, “apparentemente contrapposte”, del santo: la concretezza e la capacità di sognare. “Concretezza che vediamo nel modo attivo in cui affronta i problemi e le situazioni nuove, sia quando viene a conoscenza della gravidanza di Maria, sia quando si tratta di trovare un posto in cui far nascere il bambino Gesù qui a Betlemme, sia quando da qui bisogna fuggire in Egitto e poi rientrare in patria”. Concretezza che per Patton, è “certamente frutto del suo essere un lavoratore, un artigiano, un carpentiere abituato a prendere le misure agli oggetti e a realizzarli per ciò che serviranno. Il lavoro è una grande scuola di concretezza e per questo ha un grande valore educativo per ognuno di noi. Ma la concretezza non è aridità di sentimenti. Misurarsi con il lavoro manuale significa infatti anche misurarsi con la fatica e la pazienza, per cui il lavoro manuale diventa anche una scuola di amore e di perseveranza. Non si dà infatti amore senza impegno, senza pazienza, senza fedeltà e costanza”. Poi Giuseppe è uno che sa sognare, ha spiegato il Custode, ciò “vuol dire essere aperti al senso profondo della vita, al mistero di Dio. Il sogno indica l’apertura a un senso delle cose più profondo di quello che appare a prima vista, a un senso che viene da Dio; a una prospettiva che illumina e ci fa comprendere in modo nuovo anche ciò che noi consideravamo già definito e assodato per la nostra vita”. Proprio perché è aperto al sogno, dunque a Dio, Giuseppe “vive con fiducia e concretezza anche i cambiamenti sollecitati da Dio attraverso le circostanze della vita. È così quando accoglie Maria e il Figlio di Dio che lei porta in grembo nella propria casa, è così quando accetta di farsi profugo in Egitto e si adatta a una situazione di precarietà alla quale moltissimi lavoratori si devono adattare oggi, per potersi prendere cura della propria famiglia, ma anche perché ci sono iniquità nel mondo e nella storia che rendono precario il lavoro della maggior parte delle persone che oggi vivono e lavorano in questo nostro mondo globalizzato. San Giuseppe – ha concluso padre Patton – ci insegna a rispondere in modo concreto alle situazioni e anche alle difficoltà, affrontandole una alla volta con fiducia”.