“La cura della terra come sfida ecumenica” è stata al centro della relazione di Simone Morandini, docente dell’Istituto di studi ecumenici San Bernardino e collaboratore della Fondazione Lanza, al 17° Seminario di studio sulla custodia del Creato sul tema “Per una vita buona, su una terra da risanare: ambiente e salute in tempo di pandemia”, organizzato oggi a Roma dal Tavolo di studio “Custodia del creato”. Morandini ha ripercorso il cammino di Chiesa e di Chiese assieme, “un cammino di impegno condiviso per la terra e di dialogo”. Ed è un cammino in cui da un lato “siamo stimolati dalle parole di Papa Francesco che nel concludere l’anno speciale Laudato Si’, lo ha rilanciato con un settennio di piattaforma Laudato si’ perché la necessità di cura della terra non va in vacanza”, ma dall’altro “ci addentriamo in esso anche con preoccupazione: ci sentiamo come se viaggiassimo – noi, l’intera umanità – in condizioni di assenza di sicurezza; come se qualcuno avesse tolto il freno che ci potrebbe salvare”.
In tempo di pandemia sono emerse alcune priorità, come “la cura; le connessioni; la responsabilità condivisa; un pensiero sistemico, all’altezza della complessità; fare rete”. Ma “un’analoga esigenza emerge anche per l’approccio ecclesiale a tali temi”. Non sono mancati, infatti, degli spunti dalla vita ecclesiale di questi anni, che “non fanno altro che rinverdire una grande tradizione ecumenica di cura per la terra”. Tra gli esempi citati, “quando Papa Francesco accoglie gli spunti provenienti dal patriarca Bartolomeo nella Laudato si’ o quando lo stesso Bartolomeo persegue insistentemente una forte ecospiritualità ortodossa”.
Dopo aver citato “santi – patrimonio di una Chiesa che in Dio è indivisa – che hanno contemplato la bellezza della terra”, come san Francesco o Ildegarda di Bingen, Morandini ha concentrato prima l’attenzione sul Consiglio ecumenico della Chiese che in quest’ambito è stato “un vero laboratorio di scoperta” e poi ha ricordato come dalla fine degli anni Ottanta “la cura della casa comune diviene via via elemento qualificante della teologia pubblica delle nostre Chiese; un valore non negoziabile da perseguire attraverso molti negoziati, con molta duttilità nella ricerca”.
L’esperto ha anche evidenziato che è “impossibile dimenticare che storicamente entro le Chiese sono stati veicolati – in misura diversa – anche modelli inadeguati di comprensione del rapporto Dio/umanità/mondo, che hanno assunto temi importanti della prospettiva di fede, offrendone però una declinazione distorta”, come “una patologia dell’apocalittica”, “una patologia della mistica”, “una patologia antropocentrica della fede nella bontà della creazione”. Naturalmente “c’è al cuore dell’esperienza di fede un viaggio e c’è un’ascesa; c’è la necessità di un’azione ma essi andranno declinati diversamente, nel segno dell’attenzione allo Spirito”. “Troviamo condensate tali istanze nelle parole di Francesco dello scorso 24 maggio” ‘quando ha rinnovato l’appello a prendersi “cura della nostra madre Terra”.