“Il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa”. A citare queste parole del Papa, pronunciate il 30 gennaio scorso nel discorso rivolto all’Ufficio catechistico nazionale, è stato il card Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, che nell’introduzione ai lavori della 74ª Assemblea generale dei vescovi italiani, in corso all’Hotel Ergife di Roma fino al 27 maggio, ha rivolto “un pensiero devoto e affettuoso a Papa Francesco”, sottolineando come la categoria di “popolo di Dio” sia centrale nel suo magistero, “fin dal primo saluto ai fedeli radunati in Piazza San Pietro, la sera stessa della sua elezione, quando – in un gesto indimenticabile – si è chinato domandando la preghiera del popolo per il suo vescovo”. “Popolo di Dio”, inoltre è “la categoria elaborata dal Vaticano II per esprimere la natura aperta, universale e storica della Chiesa”, ha ricordato Bassetti: “Non è una grandezza puramente sociologica, ma teologica, pastorale e spirituale”. Il popolo di Dio è insieme “santo” e “fedele”, ha proseguito il cardinale citando “l’incisiva immagine dei santi della porta accanto” coniata da Bergoglio, “uno dei frutti più apprezzati del Concilio che il Santo Padre sta portando a maturazione”. “Nell’ultimo anno ci siamo resi conto ancora meglio, purtroppo passando attraverso una drammatica pandemia, di come la santità sia piantata nel terreno delle nostre comunità cristiane e civili”, la fotografia del presidente della Cei: “Di come l’amore di Dio operi nei cuori, anche al di là delle categorie con le quali siamo abituati a ragionare: credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, praticanti o meno. Esiste una santità diffusa, che va raccolta e narrata. La recente beatificazione di Rosario Livatino ne è ulteriore testimonianza”. Il “senso di fede” del “popolo di Dio” – ha precisato Bassetti – “non si esprime con semplici meccanismi democratici, perché non sempre l’opinione della maggioranza è conforme al Vangelo e alla Tradizione. Piuttosto si alimenta con l’umile accoglienza della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti, la fraternità e la preghiera, ossia le quattro “assiduità” della prima comunità cristiana (cf At 2,42). Occorre però sapere intercettare questo ‘senso di fede’, saperlo ascoltare”. A questo ci invita, ancora, Papa Francesco nel discorso del 30 gennaio: “Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente. Non dobbiamo aver paura di ascoltarne le domande, quali che siano, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, le incertezze: di questo, non abbiamo paura”. “È, ancora una volta, il Concilio Vaticano II tradotto in italiano”, il commento del cardinale.