Povertà: Caritas Trieste, aiutate 6.562 persone (+13,3% rispetto all’anno precedente). Il 69,9% non si era mai rivolto ai servizi prima della pandemia

A causa della pandemia sono aumentate le persone supportate dalla Caritas diocesana di Trieste, passate da 5.791 a 6.562 (+13,3%). A queste si aggiungono 235 persone aiutate con regolarità da alcune Caritas parrocchiali e circa 2.000 assistite a domicilio nel periodo del primo lockdown da una rete di 9 parrocchie. Sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto “Non ce ne siamo lavati le mani. Persone, comunità e servizi dopo un anno di pandemia” sulle attività della Fondazione Caritas di Trieste. In particolare, vengono analizzati numeri e impegno nel periodo della pandemia, da marzo 2020 ad aprile 2021, mettendoli a confronto con il periodo pre-pandemico, dal 1° gennaio 2019 al 29 febbraio 2020.
Per l’arcivescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, il rapporto “oltre ad analizzare numeri e dati, intende scuotere le coscienze di tutti di fronte alla povertà resa ancor più grave e severa dall’avvento della pandemia da coronavirus. Dietro ai numeri ci sono le persone, ci sono dei fratelli e delle sorelle fragili e bisognosi, ci sono bambini, famiglie, migranti in difficoltà. Il Report è soprattutto il resoconto di una vicenda cristiana d’amore, fatta di fraternità e prossimità come ci chiede spesso Papa Francesco”.
E se i residenti rimangono quelli che ricevono maggiore sostegno (3.095 persone), decisamente significativo è il dato relativo ai “nuovi poveri”: sono stati 4.561, cioè il 69,9% del totale, 1.000 persone in più rispetto al periodo pre-pandemia. Inoltre, cresce il numero dei giovani 18-34 anni; non solo migranti ma si è registrato un +16,0% di residenti con problemi di disoccupazione/inoccupazione.
Per don Alessandro Amodeo, direttore della Caritas, “non ci si può girare dall’altra parte davanti alle situazioni di difficoltà e, in un’epoca dove è diventato fondamentale sanificarsi, mantenere distanze ed aumentare tutti i gesti quotidiani preventivi alla sicurezza sanitaria ed ambientale, abbiamo scelto – paradossalmente – di non lavarcene le mani”.

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