Ci sono una serie di questioni da considerare nella definizione dei pass Covid, per evitare che siano discriminatori, pur garantendo che proteggano dalla diffusione del virus. Lo ha detto il comitato legale dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in una nota, in cui ha elencato i presupposti necessari affinché il loro utilizzo non ponga ostacoli al rispetto dei diritti umani. I pass, si legge, dovrebbero perciò distinguere tra coloro che sono stati vaccinati contro il Covid, coloro che ne sono guariti e coloro che sono risultati negativi al test e gli allentamenti delle restrizioni concessi dai pass “dovrebbero essere coerenti con il rischio di trasmissione per questi diversi gruppi”. In secondo luogo i pass “dovrebbero tenere conto dell’efficacia dei diversi vaccini, anche contro le varianti, e del grado di rischio implicato nelle diverse attività a cui potrebbero dare accesso, soprattutto se i titolari potrebbero entrare in contatto con persone che non sono ancora immuni”. Infine un sistema di pass Covid dovrebbe “avere una chiara base giuridica, rispettare pienamente gli standard di protezione dei dati ed essere protetto contro la contraffazione o altri abusi criminali”. Esso dovrebbe altresì avere “una stretta limitazione temporale in relazione alle esigenze dell’attuale emergenza”, e non essere modificato per altri scopi.
Come già aveva affermato l’Assemblea in una sua risoluzione, il pass Covid “non deve diventare equivalente a una coercizione e al rendere di fatto obbligatoria la vaccinazione”. Anche il presidente dell’Apce, Rik Daems, intervenendo al Forum internazionale di San Pietroburgo su “La vaccinazione per legge” ieri ha affermato che “gli Stati devono garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato contro il Covid-19” e che il modo migliore per superare “la resistenza di coloro che non vogliono vaccinarsi” è la sensibilizzazione e l’informazione” anziché la coercizione.