“Gerusalemme è il cuore del problema e questa volta è stata la scintilla che ha incendiato il Paese. Questa crisi indica che questa metodologia non funziona e che nessuna soluzione su Gerusalemme potrà essere imposta. La soluzione potrà solo essere frutto del dialogo tra israeliani e palestinesi, che dovranno entrambi fare propria la vocazione aperta, multireligiosa e multiculturale della città”. A ribadirlo è il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, in una nota pervenuta al Sir, in cui propone una lettura degli scontri e della violenza in corso da giorni a Gerusalemme, a Gaza e in molte città israeliane e della Cisgiordania. Quanto detto per Gerusalemme, per Pizzaballa, “si può estendere” a tutta la questione israelo-palestinese che deve tornare “al centro dell’agenda internazionale”. Si tratta di “una ferita aperta e dolorosa, nascosta, ma mai curata. Tolta la fascia che la copriva è ritornata visibile e dolorosa forse ancora più che nel passato”. Ancora più preoccupante, scrive Pizzaballa, “è stata l’esplosione di violenza nelle città miste di Israele, dove ebrei e arabi hanno sempre vissuto insieme e di cui si è parlato poco nei media internazionali. Abbiamo assistito a violenze, ronde organizzate, tentativi di linciaggio da entrambe le parti, ebrei e arabi. Un’esplosione di odio e di rifiuto dell’altro che probabilmente covava da tempo e che ora è emersa violentemente e ha trovato tutti impreparati e spaventati”. Tutto ciò, scrive il patriarca, “è frutto di anni di linguaggio politico violento, di cultura e politica del rifiuto dell’altro, di disprezzo. Poco alla volta, questi atteggiamenti hanno creato tra i due popoli una separazione sempre più profonda, di cui forse non ci eravamo resi conto fino ad oggi”. “Ci vorrà molto tempo per ricostruire queste relazioni oggi profondamente ferite – aggiunge Pizzaballa -. Dovremo lavorare con le tante persone, di ogni fede, che credono ancora ad un futuro insieme e si impegnano per esso. Sono tante. Ma hanno bisogno di sostegno, di qualcuno che sappia portare la loro voce nel mondo intero”. Per ricostruire le relazioni “sarà prioritario partire proprio dalla dolorosa scoperta di questi giorni, cioè dal rancore che covava soprattutto negli animi dei giovani. Dobbiamo far sì che nessuno, sia ebreo sia arabo, si senta rifiutato. Dovremo essere più chiari nella denuncia di ciò che divide e impegnarci perché nelle nostre scuole, nelle nostre istituzioni, nei media, nella politica, nei luoghi di culto risuonino il nome di Dio, di fratello e di compagno di vita. Dovremo imparare ad essere più attenti al linguaggio che usiamo e prendere coscienza che la ricostruzione di un modello serio di relazioni tra noi richiederà tempi lunghi, pazienza e coraggio. Avremo bisogno di una nuova alleanza tra persone di buona volontà che, indipendentemente da fede, identità e visione politica, sentano l’altro come parte di sé e desideri impegnarsi a vivere con questa coscienza”.