L’impatto economico della pandemia sui territori italiani è “stato eterogeneo ma pervasivo”. È quanto emerge dal Rapporto sulla competitività 2021 dell’Istat, secondo il quale le regioni la cui economia è specializzata nelle attività più colpite dalla recessione appartengono a tutte le macro-ripartizioni: Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Sardegna, Lazio e Toscana (settori del turismo), Veneto, Toscana, Umbria e Marche (tessile), Calabria e Sicilia (commercio e ristorazione). Sulla base dei risultati delle indagini sugli effetti della crisi da Covid-19, rileva il report, “in 11 Regioni almeno la metà delle imprese presenta almeno due di tre criticità che le denotano a rischio alto o medio-alto (riduzione di fatturato, seri rischi operativi e nessuna strategia di reazione alla crisi)”. Sette sono nel Mezzogiorno (Campania, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Puglia), una al Nord (Provincia autonoma di Bolzano) e tre nel Centro Italia (Lazio, Umbria e Toscana).
Considerando l’occupazione, circa un terzo degli addetti totali (32,6%) è impiegato in imprese a rischio alto o medio-alto. Delle nove Regioni nelle quali tale quota supera il 40%, sette sono nel Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Abruzzo, Sardegna, Molise, Sicilia e Campania), una nel Centro (Umbria) e una nel Nord (Valle d’Aosta). Secondo l’Istat emerge dunque “una chiara dicotomia tra Nord e Sud, con il primo caratterizzato da un sistema di imprese meno fragile e il secondo con una esposizione al rischio significativamente maggiore”; tuttavia anche nelle Regioni settentrionali più solide “si trovano realtà locali fragili, per lo più a forte vocazione turistica (quali Susa, Courmayeur, Livigno, Ponte di Legno, San Candido, Pinzolo, Jesolo, Finale Ligure, Sestri Levante, Cesenatico).