Agricoltura: Istat, in un decennio diminuita la superficie destinata a seminativi. Nessun impatto da Covid-19 per il 31,4% delle aziende che coltivano cereali

Tra il 2010 e il 2019 l’intera Ue è accomunata dalla flessione della Superficie agricola utilizzata (Sau) destinata a seminativi, scesa di 2,9 punti percentuali in Italia, di 7,4 punti nel complesso degli Stati mediterranei e di 2,7 punti in media Ue. A questa tendenza si associa l’aumento della Sau destinata a prati permanenti e pascoli e alle coltivazioni permanenti, crescita che in Italia (+18,5 punti percentuali) è stata molto più elevata rispetto a quella delle colture permanenti (+3,7) a differenza dell’intera Ue e del complesso degli Stati mediterranei. Lo rende noto oggi l’Istat, diffondendo i dati sulle “Coltivazioni agricole” per l’annata agraria 2019-2020 e le previsioni 2020-2021.
Tra il 2010 e il 2019, viene spiegato, a livello nazionale si registra un lieve aumento della Sau, pari allo 0,9%. Nel corso del decennio le superfici a uso agricolo non sono quindi diminuite, sono però cambiate le modalità di impiego: le superfici a seminativi scendono del 3,7%, quelle destinate a prati permanenti e pascoli e alle coltivazioni legnose agrarie crescono sensibilmente, rispettivamente del 6,9% e del 5,7%. Tali evidenze indicano la progressiva riduzione delle attività agricole, come la coltivazione di seminativi, che richiedono una presenza costante dell’operatore umano, a vantaggio di colture estensive che, per loro natura, necessitano, in linea generale, di minore forza lavoro.
Nel decennio, sul complesso delle superfici coltivate a cereali cresce l’importanza relativa del frumento duro (dal 36,9% al 40,3%) e del frumento tenero (dal 15,8% al 16,7%), scende quella del mais (dal 26,7% al 20,1%). “Nonostante si stia riducendo la propensione a utilizzare le superfici a seminativi per coltivare cereali, le intenzioni di semina di alcune colture erbacee per l’annata agraria 2020-2021 indicano una previsione di crescita dell’1,6%, rispetto all’annata precedente, della superficie agricola destinata alla coltivazione di cereali. È un dato – rileva l’Istat – in controtendenza rispetto alle annate precedenti, caratterizzate da continue flessioni, di intensità variabile nel corso degli anni, dovute soprattutto alle basse quotazioni dei prezzi dei cereali e alle conseguenti erosioni dei margini di profitto sui costi fissi delle coltivazioni”.
Infine, il 31,4% delle aziende agricole che coltivano cereali ha dichiarato di non aver subito alcun impatto dall’emergenza sanitaria da Covid-19. Tra gli effetti della pandemia dichiarati, sono segnalati soprattutto la “Riduzione dei prezzi di vendita del proprio prodotto” (17,8%) e la “Riduzione della domanda” (17,4%). La crisi non sembra avere impatto sulle superfici coltivate né sulle produzioni raccolte. “Il 2020 – si legge – è stato caratterizzato da un surplus di offerta di beni primari cerealicoli rispetto alla domanda, animato da una riduzione dei prezzi di vendita”.

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