“Fare in modo che tanti cittadini e abitanti delle periferie esistenziali di Torino non restino a far parte di quella città invisibile che di fatto esiste e spesso viene ignorata da l’altra città che sta bene o relativamente meglio”. Lo ha detto l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nell’omelia della messa che ha celebrato stamani, nella solennità di San Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842), nella chiesa grande della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino.
All’inizio dell’Eucaristia, il padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha rivolto un indirizzo di saluto all’arcivescovo: “Ritengo che le circostanze storiche che stiamo vivendo a causa di questa crisi pandemica siano per tutta l’umanità l’occasione di un corso di esercizi spirituali planetario perché ci richiamano all’essenziale”. Quindi, il “grazie” al presule per l’impegno della diocesi di Torino nel progetto del “Cottolengo Hospice” che la Piccola Casa sta avviando a Chieri (To) per pazienti bisognosi di cure palliative e della terapia del dolore. Nell’omelia, mons. Nosiglia ha esortato le istituzioni e la società civile “con coraggio e determinazione a operare insieme perché i servizi e l’accoglienza non siano considerati una ‘elemosina saltuaria’ e neppure soltanto la risposta ad una richiesta o a un bisogno”. “Un welfare di assistenza è certo necessario nelle emergenze ma non risponde ai criteri propri della carità perché non salvaguarda la dignità della persona e la lascia succube di una dipendenza che non risolve la sua situazione ma la tiene sempre in uno stato di limbo e precarietà permanente”. Dunque, “occorre impegnarci per favorire la condivisione tra le persone basata sull’interscambio di doni, rendendole autonome e in grado di provvedere a se stesse e ai propri cari”.