Pasqua: mons. Manenti (Senigallia), “gli auguri che ci scambiamo esprimano la salda speranza che si alimenta alla vittoria di Gesù sulla morte”

“Anche in questi giorni di sofferenza e di fatica, gli auguri che ci scambieremo di una ‘buona Pasqua’ non siano giustificati dalla consuetudine né risuonino come uno slogan vuoto, ma esprimano la salda speranza, che si alimenta alla vittoria di Gesù sulla morte, sul male e alla promessa del Padre di Gesù di ‘quei cieli nuovi e terra nuova, in cui abita la giustizia’ (cfr 2Pt 3,13), tanto attesi da tutti”. È l’invito espresso da mons. Francesco Manenti, vescovo di Senigallia, nel messaggio di auguri alla diocesi per la Pasqua.
“Desiderando sottrarre gli auguri pasquali all’usura dell’abitudine, della consuetudine, suggerisco di chiederci che significato attribuiamo a questo gesto, a che cosa rimandano le parole dei nostri auguri”, l’esortazione del vescovo. “I credenti cristiani – spiega – potrebbero trovare una preziosa risposta negli ‘auguri pasquali’ che si scambiavano i primi cristiani. Questi, al termine della Veglia pasquale, celebrata nella notte tra sabato e domenica, si dicevano: ‘Cristo è risorto!’ e si rispondevano: ‘È veramente risorto!’”.
“La storia – ricorda mons. Manenti – ci dice che la consapevolezza che ‘Cristo è veramente risorto!’ non ha accompagnato solo i primi cristiani, ma continua ad accompagnare i discepoli di Gesù nelle vicende liete e sofferte della loro esistenza e della storia in cui vivono, continua sostenerli nel rendere ragione della speranza che è in loro a un mondo che non riconosce più in Gesù Cristo risorto il fondamento della propria speranza, continua a dare coraggio a uomini e donne, e non sono pochi, che anche ai nostri giorni subiscono persecuzioni violente e mortali a motivo del Vangelo di Gesù”. “Il mio augurio è che possiamo dire altrettanto per noi, personalmente e come comunità cristiana; che nella vita di ogni giorno, con le sue gioie e tristezze, non viviamo come ‘quelli che non hanno speranza’ (1Ts 4,13), ma che ‘manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza’ (Eb 10,23)”.

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