“Se i governi rinunciassero alle spese militari per sole 26 ore, avremmo 5,5 miliardi di dollari a diposizione per salvare 34 milioni di persone dalla fame nei prossimi mesi in paesi piegati da guerra, pandemia e cambiamenti climatici”. Lo denuncia Oxfam con altre 250 organizzazioni umanitarie, in una lettera aperta, con la quale rivolgono un appello ai leader mondiali per scongiurare la catastrofe umanitaria in Paesi come Yemen, Afghanistan, Etiopia, Sud Sudan, Burkina Faso, Nigeria, a un anno esatto dall’allarme delle Nazioni Unite sull’aumento esponenziale della fame. “Secondo le stime delle Nazioni Unite, già a fine 2020, 270 milioni di persone erano sull’orlo della carestia – ha detto Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia -. Ebbene, 174 milioni di persone in 58 Paesi stanno già rischiando di morire di malnutrizione e questo numero potrebbe aumentare nei prossimi mesi, senza un intervento immediato da parte della comunità internazionale. Sono 80 i Paesi su 100 in cui le agenzie delle Nazioni Unite intervengono sono colpiti da conflitti. Bisogna spezzare il nesso mortale guerra-fame e simbolicamente noi chiediamo di farlo, smettendo di vendere armi anche solo per un giorno”.
Oxfam segnala inoltre che, nel primo trimestre del 2021, i grandi donatori internazionali hanno stanziato solo il 6,1% dei 36 miliardi di dollari richiesti dalle Nazioni Unite per fronte alle più gravi emergenze umanitarie in corso, mentre per la lotta alla fame aggravata dalla pandemia hanno destinato appena 415 milioni (il 5,3%) dei 7,8 miliardi di dollari necessari ad evitare milioni di morti. “Anche l’Italia, secondo gli ultimi dati disponibili, è passata da oltre 108 milioni di aiuti bilaterali per far fronte all’insicurezza alimentare nei paesi poveri nel 2018, a poco più di 66 nel 2019″. “Abbiamo avvertito i donatori più e più volte: la loro inerzia sta portando alla morte e alla disperazione dei bambini, come vediamo ogni giorno nei paesi di tutto il mondo. A inizio marzo, la conferenza per gli aiuti in Yemen non ha raccolto nemmeno la metà dei fondi necessari e ora quel Paese è a un punto critico”, ha commentato Inger Ashing, ceo di Save the Children International.